La Palestina e la sua ultima fabbrica di kefiah
A Hebron, la famiglia punta tutto sulla qualità artigianale, l'originalità e l'unicità della kefiah
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Di Silvia Boarini. Middle East Eye (23/07/2015). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.
In copertina membri della famiglia Herbawi di Hebron che porta avanti la fabbrica
Ciò che non si dimentica della fabbrica
tessile di Hebron aperta e portata avanti dalla famiglia Herbawi è il
rumore: telai meccanici che lavorano ad alta velocità. Queste antiche
macchine sembrano locomotive a vapore. Tutti i telai all’opera tessono
un potente simbolo palestinese: la kefiah. Nella fabbrica degli Herbawi viene intessuta dal 1961 e da allora è rimasta l’unica fabbrica di kefiah della Palestina. Prima di mettere su il proprio negozio a Hebron, Yasser Herbawi che è oggi sugli 80 anni, importava le kefiah dalla Siria.
Nel corso degli anni ’70 e ’80 la famiglia Herbawi ha prodotto kefiah
bianche e nere in grandi quantità, oltre 100 mila ogni anno, dice oggi
Abed, figlio di Yasser, e vi si è aggiunta poi la variante bianca e
rossa. La fabbrica ha resistito a guerre, occupazione e la Prima
Intifada, arrestando la sua corsa nei primi anni ’90 quando il
Protocollo di Parigi (1994) – patto economico tra Israele e
l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) firmato dopo
gli accordi di Oslo – di fatto ha sancito l’interdipendenza tra le due
economie ignorando il disequilibrio di potere nel loro rapporto.
Distruzione di infrastrutture e rifiuto
reiterato di domande di licenze per avviare nuovi progetti industriali
vengono spesso citati tra gli ostacoli che hanno bloccato lo sviluppo
industriale palestinese sin dal 1967. La globalizzazione ha poi visto
prodotti cinesi a basso costo riversarsi in Cisgiordania e a Gaza,
rendendo la kefiah vittima della sua popolarità. “Quando sono iniziate ad arrivare kefiah made in China i nostri telai hanno taciuto”, dice Herbawi al riguardo. La richiesta di kefiah prodotte in Palestina si è ridotta, e la produzione a sua volta. Ci sono ovluti 15 anni per riprenderla.
Sopra alla fabbrica in cui tre operai
corrono tra i telai per aggiungere rocchetti di filo, c’è un silenzioso
laboratorio. Judah Herbawi e suo figlio tagliano singole sciarpe da
grossi rotoli di stoffa ammucchiati in un angolo. Cinque donne sedute
alle macchine da cucire aggiungono i tocchi finali. “In questo periodo
terminiamo 300 o 400 kefiah al giorno, di media,” spiega
Herbawi. Per restare aperti e competitivi, la famiglia punta tutto sulla
qualità artigianale, l’originalità e l’unicità del proprio prodotto.
Quel che è certo è che la kefiah
si trova a Hebron per restarvi, e le giovani generazioni la vedono
ancora come una tradizione che vale la pena mantenere. “Indosso la kefiah attorno al collo e quando sarò più grande la vestirò sulla mia testa con l’agal (la corda nera rotonda che tiene ferma la kefiah
sulla testa)”, dice Mohammad Herbawi, figlio quattordicenne di Judah.
“Amo vedere gli anziani palestinesi indossarla. Per me, vuol dire che
amano la Palestina”.
Silvia Boarini è una giornalista indipendente che vive a Gerusalemme.
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