Primo Maggio : Il lavoro negato ai Palestinesi del Libano


Una nuova protesta ha portato ieri centinaia di palestinesi davanti al quartier generale dell’Onu a Beirut per chiedere la modifica della legge sul lavoro che li confina, anche se nati in Libano, a impieghi di serie B
Palestinesi ieri davanti agli uffici dell'Onu a Beirut (Foto: the Daily Star/Hasan Shaaban)




Palestinesi ieri davanti agli uffici dell’Onu a Beirut (Foto: the Daily Star/Hasan Shaaban)
della redazione
Roma, 1 maggio 2015, Nena News - Il diritto al lavoro sembra non essere uguale per tutti. Lo sanno bene i palestinesi in Libano, che  a centinaia ieri hanno partecipato a un sit-in davanti al quartier generale dell’Onu nel centro di Beirut per protestare contro le restrizioni loro applicate nel campo del lavoro dalla legislazione del Paese dei Cedri. Una legislazione che impedisce ai rifugiati palestinesi di svolgere ben 50 professioni e autorizza di fatto le discriminazioni nei loro confronti sul posto di lavoro.
Brandendo striscioni e sventolando bandiere palestinesi, i dimostranti hanno chiesto a gran voce che venisse modificata la legge sul lavoro che li confina, anche se nati in Libano, solo a una “carriera” nell’agricoltura e nell’edilizia. Registrati ufficialmente come “profughi” presso l’Unrwa, infatti, generazioni di palestinesi nati nel Paese dei Cedri vengono considerati stranieri. E dal momento che le leggi sul lavoro del Libano si basano sul principio di reciprocità, non vengono loro garantiti i diritti concessi invece agli altri stranieri che appartengono a Stati riconosciuti e che possono offrire benefici simili a quelli dei libanesi.
Apolidi, quindi, ospitati “temporaneamente” in un Paese che più di tutti teme gli sconvolgimenti demografici che potrebbero modificarne gli equilibri politici – come testimonia la guerra civile durata dal 1975 al 1990 – e bloccati in un buco nero che li discrimina in materia di lavoro, istruzione e sanità. A garantire ai profughi palestinesi – circa 450 mila ufficialmente registrati, il 10 per cento della popolazione del Paese dei Cedri – cure di base e scolarizzazione ci pensa l’Unrwa, l’agenzia delle Nazione Unite creata ad hoc dopo la diaspora palestinese del ’48, che si occupa dei 12 campi profughi ufficiali del Libano.
E’ sempre l’Unrwa che gestisce le 74 scuole che in Libano offrono un’istruzione primaria ai palestinesi, scuole che, con l’aumento dei profughi determinato dalla guerra siriana non ce la fanno quasi più a occuparsi di tutti gli alunni. L’agenzia Onu stima che metà degli adolescenti abbandona la scuola prima di completare il ciclo di istruzione e solo lo 0,1 per cento si iscrive all’università. La formazione accademica, che in Libano è privata, preclude l’accesso alla stragrande maggioranza di palestinesi: quei pochi che possono permettersi di pagare la retta, poi, sono quasi certi di ritrovarsi disoccupati, dal momento che la legge proibisce ai palestinesi di svolgere decine di professioni, tra cui quelle di medico, avvocato o ingegnere.
Sebbene una norma del 2005 abbia ridotto il numero di professioni vietate ai palestinesi (prima erano oltre 70) e nel 2010 il Parlamento abbia emendato la legge sul lavoro – i palestinesi avrebbero potuto ottenere con più facilità permessi di lavoro fuori dai campi profughi (permettendo l’accesso ai lavori attualmente aperti a cittadini stranieri) e accedere alle assicurazioni sanitarie contro gli infortuni, alle pensioni e ad altri benefici sociali – la norma non è mai stata realmente implementata. Bloccata nel 2012 dall’allora ministro del Lavoro Salim Jreissati, che ha definito gli emendamenti un “peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro per la popolazione palestinese”, la legge è stata dimenticata come da copione da un’Assemblea in perenne stallo politico a causa dei difficili equilibri comunitari che la governano, per buona pace di tutti quelli che vogliono mantenere la comunità palestinese ai margini della società libanese.
Ai palestinesi, ove possibile, resta l’emigrazione dopo gli studi, oppure l’accettazione di un lavoro ai limiti della legalità e dei diritti umani: i dati diffusi dall’Unrwa mostrano infatti che solo il 20 per cento della forza lavoro palestinese in Libano ha un contratto scritto, il 95 per cento non ha un’assicurazione sanitaria e il 75 per cento percepisce una retribuzione inferiore al salario minimo. Cifre emblematiche che testimoniano le discriminazioni a cui sono sottoposti i palestinesi in uno Stato che non ha firmato la Convenzione Onu sui rifugiati del 1951, il cui protocollo del 1967 non riconosce i diritti fondamentali né gli obblighi legali nei confronti dei profughi. Nena News

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