Per non dimenticare la Nakba


 
 
 
Per non dimenticare la Nakba 15/05/2015 / 8 views da Beirut, Federica Marsi Le scarpe scivolano nel fango mentre si percorrono le strade del campo rifugiati di Shatila, alla periferia di Beirut. Assi di...
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Reportage dal campo profughi di Shatila, in Libano, tra le memorie di una terra su cui, un giorno, è stato perso ogni diritto
da Beirut, Federica Marsi
Le scarpe scivolano nel fango mentre si percorrono le strade del campo rifugiati di Shatila, alla periferia di Beirut. Assi di legno incastrate nel terreno impediscono all’acqua di entrare nelle abitazioni. Non si usa chiudere la porta, a Shatila. Ogni discorso è interrotto più volte dai vicini di casa, che sorridenti si sporgono a salutare e a indagare sulle ultime novità.
Mohammad Khatib fa gli onori di casa, l’odore di caffè si mischia a quello umido del legno dopo giorni di pioggia. Finalmente riesce a far posto al vassoio tra gli oggetti che, da ogni angolo, spuntano in ricordo di un passato che non esiste più. Per oltre dieci anni, Khatib ha dedicato la sua vita a raccogliere ciò che rimane della Palestina: utensili, soprammobili, fotografie, caraffe, strumenti musicali. Ogni famiglia in fuga dal nascente stato di Israele ha portato con sé un ricordo della terra in cui speravano un giorno di tornare.
Museo della memoria - Shatila
Il Museo delle Memorie non è altro che un’angusta stanza affacciata su uno dei tanti vicoletti labirintici del campo. I disegni lasciati dalle infiltrazioni si indovinano anche quando manca la corrente, e la luce di poche candele gioca tra le ombre dei ricordi esposti. Sulla porta d’ingresso, in un’elegante calligrafia araba, si legge: Per ogni oggetto c’è una storia, e ad ogni angolo una straziante agonia.
“Mi emozionano”, dice Khatib girando lo sguardo verso la sua collezione. “Mi ricordano le storie che mi raccontava mio padre”. In un angolo sono appese le mezzelune con cui per generazioni la sua famiglia ha lavorato la terra di Khalsa, otto chilometri oltre il confine israeliano. Un giorno, quando ancora abitava nel sud del Libano, sua madre lo portò a vedere la terra dove era scresciuta. “La vedi quella collina?”, gli chiese indicando una macchia verde in lontananza . “Quegli alberi li ha piantati tuo padre, e tuo nonno prima di lui”.
Il Museo della Memoria è, per Khatib, una missione. “Gli Israeliani dicono che non c’era una civilizzazione prima che arrivassero loro, ma questi oggetti dimostrano il contrario”. I più anziani vagano per la stanza in cerca degli utensili che hanno fatto parte della loro infanzia, mentre per i più giovani il museo rappresenta uno dei pochi luoghi che li lega alla loro terra di origine. I bambini del campo si definiscono Palestinesi, nonostante non abbiano mai messo piede nel paese che popola i loro disegni e le loro fantasie.
La Nakba, o “catastrofe” in arabo, è per loro il giorno in cui hanno perso il diritto alla terra dei padri. Ma di questa catastrofe a scuola non se ne parla.
Nelle scuole gestite dall’UNRWA, le Nazioni Unite evitano ogni possibile controversia adottando il curriculum dei paesi ospitanti. In Libano, la storia si ferma al 1946 – a tre anni dalla fine del mandato francese, e due anni prima della creazione dello stato d’Israele. Tutt’oggi, il Libano rimane un paese incapace di narrare il proprio passato, macchiato da guerre settarie alimentate dalla resistenza palestinese e dalle incursioni israeliane.
“Dobbiamo imparare la storia della Gran Bretagna, della grande Francia, ma non abbiamo il diritto di imparare la nostra”, dice Abo Mujannad, direttore del Children and Youth Center che organizza attività educative a pochi passi dal museo. “Avere memoria del proprio passato è un diritto, e piano piano stanno cercando di togliercelo”.
Hassan
Tra gli oggetti raccolti da Khatib vaga una generazione che cerca di non dimenticare. A loro è stato affidato l’onere di mantenere in vita la resistenza, la lotta per un paese del quale non gli è permesso studiare la storia. La Palestina è per loro la terra immaginaria con cui si addormentavano sognanti, cullati dalla voce dei loro nonni. Per Hassan, 14 anni, la Palestina è una terra dove la spazzatura non si annida per giorni agli angoli delle strade. Omar, 12 anni, parla dei frutti dolci che crescono sugli alberi di Yafa come se avesse potuto gustarli. Dumu’a, 11 anni, sogna di vagare per i vicoli di Gerusalemme, che ha percorso infinite volte con la fantasia.
Nessuno si chiede se questi bambini vorrebbero in realtà dimenticare, se sia giusto popolare le loro notti con immagini di espropri e violenze. Per quelli che le hanno vissute, questo è il peso minore da sopportare. Emblematicamente, il ruolo della nuova generazione è stato posto al centro della prima rappresentazione teatrale organizzata da Khatib con la partecipazione della comunità locale. Qualcosa dalla memoria racconta la storia di un giovane che riesce a ridare speranza a suo nonno, ormai disilluso sul futuro della causa palestinese.
Le chiavi delle case in pietra arroccate sulle colline della terra santa giacciono oggi in una stanza polverosa del campo rifugiati di Shatila. Forse le porte che aprivano un tempo non esistono più. Preservarle è un simbolo di appartenenza, è il diritto alla memoria.

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