La presa di Israele sul turismo palestinese



L’occupazione e la colonizzazione della Palestina da parte di Israele, non si manifesta solo a livello...
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L’occupazione e la colonizzazione della Palestina da parte di Israele, non si manifesta solo a livello militare, ma anche nell'uso politico e strumentale del turismo. Esso viene utilizzato per rafforzare la propria posizione come potere occupante, per mantenere il suo dominio sulla terra e sul popolo palestinese, ma anche per diffondere la propria propaganda a milioni di turisti, tra cui politici, leader di Comunità e giornalisti che ricevono offerte di viaggi gratuiti di prima classe in Israele.
Tutti questi viaggi sono accompagnati da guide israeliano ben preparate il cui scopo principale è quello di diffondere la narrativa ufficiale israeliana a tutti i visitatori. Questa narrativa prevede l’omissione di informazioni cruciali e fa si che non vi sia alcun contatto tra visitatori e comunità locali palestinesi.
Israele, semplicemente, sa che l'esposizione dei turisti alla realtà attuale e storica dell’occupazione avrebbe un effetto di trasformazione sulla maggior parte dei turisti che vanno in Palestina, che, una volta tronati nei propri paesi di origine sarebbero degli avversari delle politiche oppressive di Israele contro i palestinesi. Per esempio, nel 2008 è stata sviluppata per l’industria del turismo una campagna sul  brand israeliano proprio allo scopo di distogliere l'attenzione dall'occupazione.
Come spiega Rifat Kassis, coordinatore di Kairos Palestine: "Ogni anno vengono a Betlemme ed in Palestina milioni di turisti che tornano a casa come nemici della Palestina e ambasciatori di Israele, senza aver parlato con un solo palestinese." Evitando le zone palestinesi i tour israeliani mandano il messaggio che i palestinesi sono pericolosi e che non bisogna dar loro fiducia. Il risultato è che i turisti ritorno a casa con la falsa "conferma" che i palestinesi sono effettivamente una minaccia per la sicurezza di Israele e dei suoi turisti.
Inoltre, il labirinto di leggi discriminanti e restrizioni dà alle compagnie turistiche israeliane un ingiusto vantaggio rispetto alla capacità di fornire un servizio completo ai propri gruppi. Israele persegue una strategia a due livelli: in primo luogo investe milioni di dollari nel mercato del turismo al fine di attirare il maggior numero possibile di visitatori; in secondo luogo cerca di penalizzare quanto più possibile il turismo palestinese. Nel corso degli ultimi due decenni, sono pochissimi i permessi rilasciati dalle autorità israeliane ai palestinesi che investono nel turismo per costruire o convertire edifici in alberghi, mentre almeno 15 ordinanze militari e regolamenti legate al turismo sono state emessi dal 1967 dagli occupanti israeliani.
Queste ordinanze hanno aumentato il numero dei requisiti necessari per ottenere le licenze e per far funzionare le strutture turistiche senza peraltro permettere alle stesse di avvalersi dei mezzi per attuare i miglioramenti necessari. Stante la richiesta di possedere requisiti di qualità crescenti mentre però è negato l’accesso ai finanziamenti, molte imprese turistiche palestinesi hanno dovuto affrontare gravi problemi come la sfida, spesso insormontabile, di far fronte alla concorrenza sleale che viene dalle imprese israeliane, salvo poi dover retrocedere a categorie turistiche inferiori. Alle imprese israeliane sono offerti prestiti a lungo termine a tassi di interesse agevolato, e talvolta una parte del prestito viene data a fondo perduto. Le nuove imprese israeliane per il turismo possono beneficiare di riduzioni fiscali e di forti sostegni governativi, e questo comporta un grande ostacolo alla libera ed equa concorrenza con le imprese palestinesi, che sono totalmente prive di tali sussidi e di assistenza. Non avendo la possibilità di ospitare più turisti nell'alta stagione, la Palestina non è in grado di ospitare i turisti per periodi più lunghi, per cui i visitatori vanno in Palestina solo per brevi escursioni. Ciò comporta chiaramente gravi implicazioni per l'economia locale, ed aree che potrebbero essere di grande interesse per lo sviluppo del turismo in Cisgiordania non possono essere sviluppate a causa delle restrizioni attuate dal governo israeliano.
Oltre a ciò, sono pochissime le guide turistiche palestinesi che ottengono il permesso per fare le guide in Israele. Nel 2005 sono stati concessi 42 permessi, e questa è stata l'unica volta in cui i permessi sono stati concessi. Oggi, solo 25 di queste 42 guide sono ancora operative, mentre sono 8.000 le guide israeliane autorizzate dal Ministero israeliano del turismo.
La libertà di movimento
Un altro mezzo usato da Israele è la limitazione libertà di movimento di turisti. Quando si tenta di ottenere un visto, per esempio, le agenzie israeliane devono semplicemente presentare nomi e numeri di passaporto, e la loro richiesta è soddisfatta senza indugio. Al contrario, le agenzie palestinesi vanno incontro a diversi ostacoli amministrativi e non possono garantire che la loro richiesta di visto sarà accettata.
Inoltre, se i turisti dicono ai controlli di frontiera che andranno a visitare la Palestina è possibile che siano trattenuti ed interrogati dalle autorità israeliane. Alcuni vengono poi deportati per motivi di "sicurezza", mentre altri sono deportati senza alcuna spiegazione. Ayman Abu Al Zolouf, una guida turistica locale dell’Alternative Tourism Group (ATG) descrive l'arresto e l'interrogatorio di un gruppo svedese, a cui stava facendo da guida nel 2010, a Beit Sahour. Mentre stavano pranzando con famiglie locali alcuni si staccarono dal gruppo per andare a fotografare Oush Gorab, una vicina zona sotto totale controllo israeliano. Le forze israeliane arrestarono l'intero gruppo e trasferirono i turisti all'insediamento di Gush Etzion tramite veicoli militari. Dopo essere stati sottoposti a pressioni dalle forze di sicurezza finchè non ammisero che facevano parte di un tour organizzato da ATG, furono rilasciati. In un'altra occasione, un gruppo di turisti britannici guidati da Ayman Abu Al Zolouf fu arrestato dalle forze militari israeliane mentre si trovava accanto al muro di annessione vicino all'insediamento israeliano di Har Homa.
Secondo l'ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento di affari umanitari (OCHA), palestinesi e turisti ad essi somiglianti devono affrontare controlli e discussioni nell’attraversamento di una rete di oltre 500 posti di blocco permanenti e di altri ostacoli militari che ne limitavano il movimento sia all'interno della Cisgiordania che nell’attraversamento dei suoi confini. I checkpoint sono ormai strutture stabili sul terreno, ed alcuni sono stati trasformati in veri e propri "terminali", in cui i metodi ricordano le procedure di sicurezza aeroportuali con permessi, controlli, metal detector, impronte digitali ed interrogatori personali. Esistono inoltre, checkpoint "volanti" temporanei che vengono eretti senza preavviso in varie località. In media, in Cisgiordania si effettuano circa 65 posti di blocco volanti alla settimana. Ra'fat Al Chamali, una guida turistica palestinese, ha decritto con enfasi l'effetto paralizzante di questi posti di blocco, ed ha affermato che spesso non riesce a finire i tour per le lunghe attese che essi comportano.
Un altro ostacolo per i viaggi turistici è rappresentato dalla presenza di 500.000-600.000 coloni ebrei-israeliani che attualmente vivono illegalmente nei territori palestinesi occupati. Essi costituiscono una minaccia crescente e consistente per per la sussistenza dei palestinesi. Rami Kassis, direttore di ATG, dice che le vessazioni dei palestinesi da parte dei coloni israeliani, spesso condotte con il supporto di soldati israeliani, sono uno dei maggiori ostacoli che deve incontrare una guida turistica palestinese.
Branding
Israele sta anche costantemente cercando di escludere con varie strategie i palestinesi dall’importante mercato dei Pellegrinaggi cristiani. Un report stilato dal “Comitato per la veridicità dei media sul Medio Oriente” (CAMERA, l’acronimo inglese) negli USA, così conclude:
"Israele ha speso milioni di dollari, rimettendo a nuovo i siti cristiani in Israele e cercando di crearne di nuovi, come quello lanciato recentemente denominato "Seguendo le tracce del Vangelo", che consente ad escursionisti, ciclisti e automobilisti di ripercorrere quello che potrebbero essere stato il percorso di Gesù attraverso la Galilea…....”
"Il Ministero del turismo [israeliano] sta anche cercando di promuovere una vigilia del Natale alternativa a Betlemme - che è sotto il controllo dell'autorità palestinese - invitando diplomatici stranieri e pellegrini nella città israeliana di Nazareth per godervi un mercatino di Natale, parate, fuochi d'artificio e un allegro Babbo Natale per i bambini.
"I palestinesi sono di conseguenza tagliati fuori da un mercato che una volta dominavano. Funzionari del turismo palestinese affermano che Israele cerca di scoraggiare le visite nelle aree amministrate dall'autorità palestinese e sta promuovendo nuove attrazioni in altre parti della Cisgiordania [di fatto annesse], come ad esempio il sito battesimale sul fiume Giordano"
"Abbiamo più siti dalla nostra parte, e Israele li sta usando per sviluppare il proprio turismo, lasciandoci con un piccolo pezzo di torta," ha detto l’ex ministro palestinese per il turismo Kholoud Daibes, sostenendo che Israele raccoglie il 90% delle entrate legate ai pellegrinaggi. "Stanno promuovendo i territori occupati come parte di Israele."
La presa di Israele sul turismo palestinese è funzionale al suo obiettivo generale di rinserrare l’occupazione militare e la colonizzazione attraverso il controllo della narrativa e introducendo una terminologia ed un linguaggio diversi. Il progetto coloniale di Israele mira a cancellare l'esistenza e la presenza dell’identità e della storia palestinesi. Pertanto, le istituzioni turistiche palestinese dovrebbero cercare di far emergere la propria narrativa. Ciò potrebbe essere ottenuto introducendo e consolidando il proprio linguaggio e la propria terminologia; e impiegando termini che rispecchino veramente e correttamente la realtà così com'è, senza inchinarsi a pressioni esterne e non presentando la situazione secondo le scelte di Israele.
Amjad Alqasis è un avvocato dei diritti umani, ricercatore di diritto e membro della Rete per il Sostegno Legale di BADIL, Centro di Ricerca per i diritti dei residenti palestinese e dei rifugiati. Dall’agosto 2014, è consulente presso Al Haq Center per l’applicazione del Diritto Internazionale.
Fonte: Maan News
Traduzione di BDS Italia

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