Essere ebrei non è obbligatorio di Guido Ortona
Essere ebrei non è obbligatorio
di Guido Ortona
1. Il problema.
La dichiarazione di Netanyahu "se
vinco le elezioni non ci sarà mai uno stato palestinese" ci
obbliga ad affrontare una questione che molti ebrei sono finora
riusciti ad eludere, e cioè "quale deve essere il nostro
atteggiamento verso Israele se procederà, o dichiarerà
ufficialmente di volere procedere, alla pulizia etnica dei
palestinesi." L'elusione di questa domanda è stata finora resa
più o meno lecita dalla possibilità logica di negare che Israele
considerasse questa politica, e in subordine dalla possibilità
di affermare che il problema urgente è garantire la sicurezza di
Israele, al resto si penserà dopo. Trascurare l'importanza delle
informazioni intriganti (il ruolo politico degli insediamenti
nei territori occupati, per esempio) è un atteggiamento umano e
comprensibile quando gli avvenimenti sono ambigui. Ma oggi non
lo sono più.
Si potrebbe obbiettare che
l'affermazione di Netanyahu è stata solo propaganda:ma se sono
questi gli argomenti che creano consenso, allora è ovvio che
questa opinione è diffusa e solida, il che evidentemente
contrasta con l'idea di un Israele che vuole una pace giusta ma
sono i palestinesi che si oppongono. E' chiaro chela maggioranza
relativa di elettori che ha votato per Netanyahu non vuole
una pace giusta, nel senso che garantisca i diritti fondamentali
anche ai palestinesi. E del resto mi pare innegabile che la
politica degli insediamenti è molto più significativa di
qualsiasi dichiarazione obtorto collo a favore della
soluzione deidue stati. Una pace giusta non è una cosa che si
ottiene dall'oggi al domani, né una cosa cui si può rinunciare
definitivamente con la scusa che "gli altri non la vogliono", se
la si vuole davvero. E' qualcosa che va costruito, e quindi è
necessario lavorare in quella direzione. In altri termini: chi
afferma di volere una pace giusta ma non fa nulla per
propiziarla in realtà non la vuole. E' che Israele non faccia
nulla è il meno che si possa dire. Ora, è ovvio che una pace non
giusta implica o apartheid per i palestinesi o la loro
espulsione: come scriveva Tacito, ubi desertum faciunt pacem
appellant. Se una parte molto consistente (come minimo)
degli israeliani vuole dichiaratamente una soluzione di
questo tipo, è chiaro che la nostra solidarietà verso Israele
deve tenere conto di questo fatto.
In quanto segue sosterrò la tesi che
essere solidali con il presunto diritto di Israele a una pace
basata sull'apartheid o sulla pulizia etnica implica il rifiuto
dei valori fondamentali dell'ebraismo. In altri termini: un
ebreo della diaspora non può sostenere quella politica, se vuole
essere coerente; anche se purtroppo sappiamo bene che un
integralista accetta l'incoerenza senza porsi troppi problemi,
quale che sia la sua religione.
2. Israele come stato ebraico.
Gli argomenti a favore
dell'espulsione dei palestinesi sono riconducibili a due. Il
primo è religioso: "Israele è stato promesso da Dio agli ebrei,
quindi i palestinesi devono andarsene". Con chi la pensa così è
impossibile discutere, per motivi logici prima ancora che
morali. Mi auguro che almeno in Italia siano in pochi a
sostenere questo argomento, anche se temo chetanto pochi non
siano. L'altro è quello esposto con grande chiarezza da Alfredo
Caro sul numero di marzo 2015 di Hakeillah, e può essere
riassunto come segue:"La storia di tutti i tempi è storia di
lotta di popoli. Gli Ebrei sono un piccolo popolo, e quindi
potranno sopravvivere come tale solo se avranno un loro
territorio. E' doloroso che questo debba essere sottratto ai
palestinesi, ma loro possono andare altrove e noi no; e se non
possono ci dispiace per loro ma mors tua vita mea. E'
vero, potremmo cercare di assimilarci. Ma il tentativo di
assimilarsi in un popolo estraneo è votato al fallimento, e può
portare solo a persecuzioni: quindi se cerchiamo di assimilarci
distruggiamo l'ebraismo come tale, e invano. Occorre quindi che
gli ebrei abbiano una patria, Israele."
Ora, che l'assimilazione sia
impossibile è palesemente falso; esistono moltissimi paesi, e
anche moltissimi popoli (ma questo concetto è ambiguo) che si
sono formati grazie all'integrazione di popolazioni diverse che
si sono reciprocamente assimilate. L'Italia è un buon esempio.
In altri termini, oggi la scelta dell'assimilazione è possibile.
Naturalmente domani tutto può succedere, ma alcuni scenari sono
più improbabili di altri. E che domani si abbia di nuovo una
persecuzione antisemita tale però da non coinvolgere Israele,
che quindi resterebbe un rifugio, mi sembra molto improbabile.
Non va dimenticato che la Shoah è avvenuta nell'ambito di una
guerra mondiale. Se mai ci sarà una prossima guerra mondiale, o
anche solo europea, la presenza o meno di Israele come rifugio
difficilmente sarà un dato rilevante. E' vero però che
l'assimilazione comporta inevitabilmente una rinuncia a parte
almeno della propria specificità culturale e rituale, e comporta
anzi il rischio della scomparsa di tali peculiarità. Israele
come eventuale stato ebraico non ha quindi senso come rifugio
per gli ebrei, ma come rifugio per l'ebraismo, inteso
come osservanza di determinate norme religiose, minacciata dalle
persecuzioni, se le cose vanno male, e dall'assimilazione, se
vanno bene. Sottolineo: non della fede religiosa, che è un fatto
personale e individuale, bensì delle norme e dei riti collettivi
dell'ebraismo.
3. Israele come stato
democratico.
E' possibile uno stato ebraico che
sia anche democratico? Solo a una condizione: che la popolazione
non ebraica sia talmente poco numerosa da far sì che la
concessione di pieni diritti non implichi un sostanziale
mutamento nei valori e nella legislazione dello stato. Per fare
un esempio, lo status degli altoatesini in Italia è
giudicato esemplare, ma se anziché essere poche centinaia di
migliaia fossero dieci milioni è evidente che l'autonomia di cui
godono sarebbe improponibile. Quindi la costruzione di uno stato
ebraico e democratico implica o la soluzione "due popoli due
stati" oppure l'espulsione (o l'apartheid) dei
palestinesi dei territori; e forse anche di quelli di Israele. E
abbiamo visto che purtroppo in Israele le condizioni politiche
necessarie perché i sacrifici imposti dalla prima opzione
vengano accettati si allontanano sempre di più.
Uno degli argomenti più importanti a
sostegno di Israele è sempre stato, e giustamente, il suo
carattere di stato democratico (ci sono molti indizi che questo
carattere sta declinando, ma questo è un altro discorso). Ora, è
bene avere chiaro che la democrazia all'interno di un paese non
implica affatto un suo comportamento democratico al suo esterno.
In effetti un comportamento non democratico all'esterno è
facilmente propizio alla democrazia all'interno, dato che
procura risorse aggiuntive che possono rendere meno gravi i
conflitti sociali. Ci sono innumerevoli esempi nella storia, fin
dai tempi di Pericle. Questo ha un'implicazione fondamentale per
il nostro discorso: la democrazia interna in Israele è
perfettamente compatibile con l'oppressione dei palestinesi.
Non c'è nessun motivo né storico né economico né logico per cui
il fatto che Israele sia democratico renda necessariamente
giusta la sua politica verso i palestinesi.
4. Israele come stato ebraico o
democratico.
Abbiamo visto che la costruzione di
uno stato ebraico implica molto probabilmente l'espulsione dei
palestinesi ol'apartheid; talmente probabilmente che questa
possibilità non può (più) essere esclusa nel determinare la
nostra posizione verso Israele. E questo obbliga a una scelta.
Dobbiamo decidere con chi e con che cosa essere solidali se
viene abbandonato lo scenario, ormai molto poco plausibile, dei
"due popoli due stati".Abbiamo visto infatti che al di fuori di
esso non è possibile che Israele sia al tempo stesso uno stato
ebraico, democratico e rispettoso dei diritti fondamentali
dei palestinesi. Chiamiamo la prima condizione E, la seconda
D e la terza P. Una delle tre deve essere abbandonata.
Abbandonare D è chiaramente impossibile:bisogna abbandonare E,
nel qual caso Israele sarebbe uno stato laico e democratico ma
non ebraico, oppure P, nel qual caso Israele sarebbe uno stato
ebraico e democratico costruito sull'oppressione o l'espulsione
dei palestinesi. (In realtà è molto dubbio che uno stato basato
su una legge religiosa possa essere democratico; non conosco
esempi nella storia, ma diamolo per buono). Giungiamo così alla
questione fondamentale: con quale opzione dobbiamo essere
solidali? Hic rhodus, hic salta. O si è a favore dell'ebraicità
dello stato di Israele, oppure si è a favore del rispetto
universale dei diritti umani.
5. Stato ebraico ed ebraismo.
Una grande conquista di civiltà è
che la religione è un fatto personale o comunitario: nessuna
religione ha il diritto di imporsi con la violenza su altre, e
nessuna religione può essere assunta a giustificazione della
violenza su altri. Pure è proprio questo che auspica chi vuole
ricostruire una patria ebraica scacciando o soggiogando i
palestinesi. Ma allora la sua adesione al nazionalismo ebraico
cosa ha di più nobile dell'adesione di un non ebreo al suo
nazionalismo, sia esso, o sia stato, tedesco, o serbo, o turco,
tanto per citare altri nazionalismi portatori di ingiustizia? Se
si esclude il diritto divino, la risposta non può che essere che
si accetta come giusta l'esistenza di una lotta darwiniana fra
popoli. Io sono ateo, ma credo di potere dire che una simile
posizione in realtà contraddice profondamente i dettami
dell'etica ebraica, perlomeno come riassunta dalla giustamente
celebre massima di Hillel "Non fare al prossimo ciò che non
vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah". Israele ha
diritto di difendersi;ma questo diritto non può essere assunto a
scusa per eludere il dilemma che ho esposto.
Quale atteggiamento si deve allora
avere verso Israele? Mi pare che la risposta sia chiara: si deve
affermare con fermezza, anche a livello di comunità, che la
nostra solidarietà con Israele è subordinata al suo rispetto per
tutti dei diritti umani fondamentali. Se questo potrà essere
ottenuto con la soluzione "due popoli due stati" tanto meglio.
Ma se questo implica, come mi pare sia inevitabile, che lo stato
di Israele deve essere uno stato con parità di diritti per tutte
le confessioni religiose e tutte le etnie, e quindi laico,
allora dobbiamo chiarire che la nostra solidarietà è
condizionata all'accettazione di questa opzione. So che molti
ebrei hanno un legame affettivo molto forte con Israele. Vorrei
dire che lo capisco, ma non è vero. Io ho avuto un'educazione
laica e non ho parenti stretti che siano morti in lager; ciò che
posso capire è solo che per molti ebrei accettare che Israele
rischia di tradire gli ideali propri dell'ebraismo, o più
probabilmente li ha già traditi, è doloroso. Ma questo dolore
non evita il dilemma che ho illustrato in questo articolo, e che
porta inevitabilmente a concludere che una persona fedele agli
ideali di democrazia e universalismo non può auspicare uno stato
ebraico in Israele.
Un' ultima osservazione. Gli ebrei
che pensano che per essere ebrei bisogna anteporre il valore del
nazionalismo a quello della democrazia sono sempre più numerosi.
Costoro devono rendersi conto che essere sionisti non è
obbligatorio. In effetti in una democrazia nemmeno essere ebrei
lo è. Se veramente si dovrà scegliere se essere a favore del
nazionalismo ebraico o a favore della democrazia, non c'è dubbio
che molti opteranno per la seconda alternativa. L'oltranzismo
filoisraeliano rischia di trasformare l'ebraismo, anche quello
italiano, in una setta integralista. Se si vuole evitarlo
bisogna che le comunità affermino con chiarezza che un ebreo non
può accettare la violazione dei diritti umani di
nessuno.
Essere ebrei non è obbligatorio
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