Stefano Jesurum.:La memoria della Shoah non riguarda solo gli ebrei



 



Stefano Jesurum
E' del tutto evidente quanto poco casuale sia la concomitanza —a pochi giorni dal 70° della Liberazione, in un'Italia attraversata da funeste ventate razziste e in una Europa dal risorgente antisemitismo — di due importanti convegni sul tema della Memoria in materia di Shoah (Le Giornate della Memoria della Shoah nell'Unione Europea: le sfide della commemorazione nel XXI secolo, al Memoriale di Milano, 13-14 aprile e Quale memoria per quale societa? Il ruolo dei musei deIIa Shoah nel XXI secolo, nella sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio, 14 aprile).
Sotto gli occhi di ognuno è infatti l'esigenza impellente, a 15 anni dall'istituzione del Giorno della Memoria, di ripensare la sostanza stessa di un «lavoro» che in un futuro più che mai prossimo perderà definitivamente l'apporto straordinario dei testimoni diretti, i sopravvissuti.
Un lavoro, quello dell'uso pedagogico della storia, tanto diffuso quanto complesso, faticoso, talvolta non di rado a rischio di opaca routine.
Bisognerà ragionare, a proposito di musei esistenti e futuri, del nostro ritardo rispetto ad altri Paesi e soprattutto di contenitori e di contenuti (a Milano è faticosamente terminato il Memoriale, a Ferrara è in costruzione il Museo dell'ebraismo italiano e della Shoah, a Bologna è stato appena bandito un concorso di progettazione per un altro memoriale, a Roma il Museo nazionale della Shoah è agli sgoccioli dell'iter burocratico, ma il tutto procede con molta lentezza).
Soprattutto sarà necessario fare il punto su pochi, essenziali interrogativi.
A quale funzione deve assolvere la memoria della Shoah? A chi ci rivolgiamo? Come parlare alle giovani generazioni? Come conciliare memoria e storia che — ci ha insegnato Pierre Nora — non sono affatto sinonimi, anzi?
Perché, dice più o meno Nora, mentre la memoria è sempre attuale, vissuta nell'eterno presente, la storia invece è una rappresentazione del passato e in quanto operazione intellettuale e laicizzante richiede analisi e discorso critico. La memoria colloca il ricordo nell'ambito del sacro, la storia lo stana e lo rende prosaico. La memoria fuoriesce da un gruppo che essa unifica, ci sono tante memorie quanti gruppi e la storia, al contrario, appartiene a tutti e a ciascuno, e ciò le conferisce una vocazione all'universale.
Insomma, è arrivato il momento — circondati come siamo da saluti romani e «sparate» aberranti — di ridefinire gli obiettivi. Soprattutto è ora di sgomberare il campo da un equivoco rischioso e, temo, dilagante: la memoria della Shoah non riguarda gli ebrei, non è fatta per chi comunque non dimenticherà mai dal momento che il ricordo lo porta impresso nella carne e nei cuori.
La Memoria, quella memoria, è necessaria alla società intera. Serve a garantirci tutti dall'orrore della discriminazione, dalla mattanza che ad Auschwitz eliminò ebrei, zingari, antifascisti, portatori di handicap, omosessuali. Serve ad avere speranza.

  CORRIERE della SERA di oggi, 12/04/2015, a pag.25,

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