Meglio un accordo che una guerra

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Di Vijay Prashad
9 aprile 2015
Forse la reazione più salutare al  P5+1/* all’accordo quadro per il nucleare iraniano è arrivata dall’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC – Organization of Islamic Cooperation). L’OIC è il blocco di 57 paesi con una popolazione di un oltre un miliardo e mezzo di persone. Entro i suoi confini vive il grosso del mondo musulmano, sebbene sia significativa l’assenza dell’India (è  il paese che ospita  quasi il maggior numero di musulmani del mondo – è seconda a breve distanza dall’Indonesia).
L’elemento importante della dichiarazione dell’OIC, è che essa rappresenta la volontà non soltanto della dirigenza politica di questi paesi, ma che è anche un riflesso delle opinioni esistenti negli stati arabi del Golfo. Inoltre, il Segretario Generale dell’OIC, il funzionario saudita Iyad bin Amin Madani, ha detto che sperava che l’accordo quadro sarebbe diventato un patto permanente.
Il principe della Corona Saudita, Nayef, è andato in Turchia dove ha tenuto delle riunioni ad alto livello in cui l’agenda comprendeva l’accordo con l’Iran. E’ stata una visita a sorpresa. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, doveva andare in Iran il 7 aprile e quindi poche ore prima che partisse il Principe Nayef è arrivato per una breve visita non programmata. E’ probabile che i Sauditi abbiano inviato un messaggio a Teheran per mezzo di Erdoğan.
La visita di Erdoğan in Iran è importante, data la loro reciproca dipendenza – l’Iran ha bisogno di vendere le sue vaste riserve di gas naturale, mentre la Turchia è affamata di energia. I disaccordi circa la pressione della Siria e dell’Europa sulla Turchia perché segua il regime di sanzioni, sono stati i motivi fondamentali per la distanza creatasi tra Ankara e Teheran. Questa situazione sta per essere aggiustata. Quello che il principe Nayef ha detto a Erdoğan è fondamentale per il futuro di queste relazioni, come anche l’importanza di “problemi regionali e internazionali”, che sono molto presenti nell’agenda della visita di Erdoğan, sia al presidente dell’Iran, Hassan Rouhani che al suo leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei.
Le indicazioni di appoggio all’accordo quadro per il nucleare sono arrivate rapidamente dal re saudita Salman e dai ministri degli esteri di tutta la regione. C’era da aspettarsi che le proteste sarebbero arrivate da Benjamin Netanyahu di Israele.
La reazione di Tel Aviv non è, però, seria. Altri percepiscono la lama smussata del pragmatismo: meglio questo accordo che le alternative che farebbero soltanto piombare la regione in un ulteriore caos.
Quali erano le altre alternative?
Israele
Una delle dichiarazioni fondamentali fatte da Iyad bin Amin Madani è stata quella per il ripristino dei negoziati in vista di una Zona senza armi nucleari in Medio Oriente. Tutti i paesi della regione, eccetto Israele, sono stati disponibili a partecipare a una conferenza per questa iniziativa. Si sa bene che Israele ha un arsenale nucleare, moltissima gente capisce  che gli Stati Uniti “parcheggiano” delle armi nucleari o nel Bahrein o nel Qatar (in quanto parte del suo ombrello nucleare per il Golfo).
Ernst David Bergmann, che è stato presidente della Commissione  Israeliana per l’Energia Atomica dal 1954 al 1966, durante il periodo della sua espansione nucleare, ha detto: “Non c’è distinzione tra l’energia nucleare per scopi pacifici o per scopi bellici.” Le armi nucleari di Israele non hanno mai suscitato stupore in Occidente, né durante le discussioni all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA).
Il commento di Madani risale a una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 1996 che chiedeva una Zona senza armi nucleari in Medio Oriente. Questa risoluzione è arrivata trenta anni dopo che è diventato chiaro che Israele aveva un programma di armi nucleari. Nella settimana dell’accordo con l’Iran, il Governo degli Stati Uniti ha desecretato uno studio del 1967 intitolato Critical Technology Assessment in Israel and NATO Nations, [Valutazione critica della tecnologia a Israele e nelle nazioni della NATO, preparato da Edwin Townsley e Clarence Robinson. Lo studio dimostra in maniera inequivocabile che gli Stati Uniti da lungo tempo conoscevano la portata del programma nucleare di Israele. Descriveva in dettaglio il lavoro dei laboratori nucleari della SOREQ e di Dimona/Beer dove Israele conduce “progettazione  e fabbricazione di armi nucleari” e anche altre tecnologie di distruzione. E’ strano che gli Stati Uniti abbiano declassificato adesso questo documento.
Israele ha ottenuto un biglietto gratuito per le sue ambizioni          riguardo alle armi nucleari. Non è stato mai in regime di sanzioni o sotto alcun tipo di sorveglianza.
Iraq e Libia
Sia l’Iraq che la Libia offrono la terrificante alternativa. Sebbene le armi di distruzione di massa siano state in gran parte distrutte dalla Prima Guerra dell’Iraq (1991) e dalle successive aggressive ispezioni statunitensi, l’Iraq ha tuttavia affrontato sanzioni rovinose e una seconda terribile guerra, ancora in corso. Le materie prime per le armi di distruzione di massa dell’Iraq gli erano state fornite dall’Occidente durante  la guerra Iran-Iraq (1980-1988) – compresi i membri del P5+1, come Stati Uniti e Germania.  Questi paesi non si sono assunti la responsabilità della loro colpevolezza per aver creato quell’arsenale. La loro arroganza non gli permetterà un luogo di autoriflessione.
Negli anni ’90 la Libia ha cercato di scambiare il suo programma di armi nucleari con un’apertura verso l’Occidente. La completa rinuncia al suo programma e i pagamenti che ha fatto per gli atti terroristici contro obiettivi occidentali, hanno permesso che il petrolio libico entrasse nei mercati europei. La Libia è diventata anche un nodo importante per il programma statunitense di “deportazione straordinaria” dei “nemici combattenti” nella Guerra al Terrore**.  Questa resa da parte del governo libico non lo ha preservata  dall’attacco del 2011 nella guerra della NATO che naturalmente ha distrutto lo stato libico e ha portato il paese nel caos.
Iran
All’Iran non viene promessa la strada preferita di Israele. Si è anche rifiutato di arrendersi alla strada libica, o di essere distrutto nel modo dell’Iraq. La Turchia, e l’Arabia Saudita forse riconoscono che la recente esperienza dell’Iraq (e della Libia) non deve essere replicata, malgrado le loro opinioni sulla dirigenza di Teheran.
Non ci sarebbe stato nessun risultato positivo se gli Stati Uniti avessero attaccato l’Iran con la loro superiore forza di fuoco. Migliaia di anni di storia iraniana lo hanno      reso irremovibile davanti a qualsiasi intervento del genere. Sarebbe stato un cataclisma. Meglio un accordo che una guerra. Questo sembra il messaggio che arriva non soltanto  dal P+5 e dall’Iran, ma anche da Ankara e da Riyadh.
*Si riferisce ai 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cioè China, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, più la  Germania.
**http://it.wikipedia.org/wiki/Extraordinary_rendition
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/better-a-deal-than-a-war
Originale: al-Araby
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

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