Siria. "La vostra Palestina non è la mia"



A chi crede che Asad sia un nostro sostenitore, a chi non appoggia la rivoluzione io dico: voi avete la vostra Palestina, io ho la mia. La vostra Palestina è un discorso del regime. La mia Palestina è il canto dei combattenti per la libertà di Hama". Nel 4° anniversario della rivolta, le parole di Budour Hassan. Nell’aprile del 2011 un popolare blogger egiziano disse ai rivoluzionari siriani che avrebbero dovuto sollevare la bandiera della Palestina durante le manifestazioni del venerdì per dimostrare che sostenevano la resistenza palestinese, e rifiutavano la narrazione secondo cui il regime di Asad avrebbe protetto i palestinesi. Ora mi chiedo: dovevano farlo i siriani?
Dovevano sollevare la bandiera palestinese solo per dimostrare di sostenere la Palestina? Dovevano mostrare le loro credenziali nazionaliste così il mondo avrebbe sostenuto la loro causa? E la risposta è stata chiara per me. No, i siriani non erano tenuti a farlo.

 Un amico siriano mi ha detto che all’inizio della rivolta ha preferito evitare di portare con sé la bandiera palestinese e parlare di Palestina. Non perché non sostenesse la causa, ma perché questa causa era stata utilizzata dal regime (siriano, ndt) al punto da diventare uno strumento politico. Amiamo la Palestina – mi ha spiegato il mio amico – al punto che non vogliamo che la sua causa venga strumentalizzata. Ecco perché non abbiamo usato la bandiera. I siriani, io credo, non devono sventolare quella bandiera per provare di sostenerci, perché la Palestina non è una bandiera.

 La Palestina è molto, molto più di questo. “Palestina” sono i rifugiati di Yarmouk che hanno sostenuto la rivoluzione siriana sin dal primo giorno; che hanno aiutato i siriani rimasti senza casa, che hanno preso parte alle proteste, che hanno documentato la rivolta e aiutato come hanno potuto.Parte della rivoluzione siriana sono anche i rifugiati palestinesi del campo di al-Raml, a Latakia, che sono stati colpiti molto duramente dal regime sin dall’estate del 2011. La rivoluzione non vive nei palazzi del regime, ne’ nei discorsi di resistenza di leader che credono di avere diritto di parlare in nome dei palestinesi solo perché guidano un movimento di rivolta. E che credono di poter uccidere gente innocente in Siria, non in nome della resistenza, ma anche in nome della Palestina. Ecco perché credo che i siriani non fossero tenuti a provare proprio niente a nessuno. Inoltre, anche se supponessimo che il regime siriano, nei fatti, sostenga la resistenza palestinese, questo gli darebbe forse il diritto di controllare la Siria, di impedire alle persone di esprimere un’opinione, di uccidere e torturare centinaia di migliaia di siriani semplicemente perché osano opporsi ad oltre 40 anni di oppressione, ad oltre 40 anni di ingiustizia? Naturalmente no.

Anche se Bashar al-Asad fosse l’unica persona sulla terra capace di liberare la Palestina, non lo sosterrei, e sono sicura che tantissimi palestinesi farebbero lo stesso. Perché la nostra liberazione non potrà compiersi sulla schiavitù di un altro popolo, soprattutto quando questa schiavitù riguarda le nostre sorelle e i nostri fratelli in Siria. La verità è che il regime siriano non ha mai veramente sostenuto la Palestina. Per il regime, la Palestina è sempre stata una foglia di fico, e uno strumento politico.                                                                                                                                
 Questa storia è iniziata nel 1970, quando il regime (all’epoca quello di Afez al-Asad, padre di Bashar, ndt) ha aiutato le milizie libanesi a reprimere e distruggere il campo di Tel al-Zaatar. Ed è proseguita negli anni ’80 con i massacri che ha aiutato il partito libanese Amal a commettere contro l’Olp. Crimini che non possono essere dimenticati. Così non si può tollerare ne’ ignorare, come sfortunatamente molti stanno facendo, l’assedio che il regime ha imposto sul campo di Yarmouk, impedendo alle persone di accedere alle cure mediche, al latte per i bambini, anche solo di entrare e di uscire dal campo. Se vengono ignorate queste cose, è perché si crede che questo regime sostenga la resistenza palestinese e i diritti umani
 A mio parere è molto chiaro che quella siriana fosse sin dall’inizio una rivoluzione per la libertà e la dignità. Ma sfortunatamente, per tanti qui in Palestina, non è altrettanto chiaro, anche a causa della polarizzazione che stiamo vivendo, qui come in molti altri paesi arabi. Dobbiamo ripeterlo ancora e ancora, ai nostri compagni o ex-compagni: devono smetterla di sostenere il regime siriano, tutti dovremmo essere consapevoli che le sue parole in nostro favore non sono altro che propaganda. Eppure, sembra non bastare. Rispetto a questa situazione la maggior parte della gente sembra rimanere attaccata alla propria posizione. Le reazioni dei palestinesi alla rivoluzione siriana sono state varie. Sfortunatamente però la sinistra mainstream sostiene il regime di Asad. E qui sta l’ironia: uno dei suoi più convinti sostenitori è il Partito Comunista israeliano, che lo giustifica con il fatto che Asad è “contro l’imperialismo”. Un partito che però, allo stesso tempo, non ha alcuna difficoltà a manifestare insieme ai sionisti a Tel Aviv senza ravvisarvi alcuna contraddizione. Ci sono altri che sostengono di aver appoggiato la rivoluzione siriana fin quando è stata nonviolenta, ma che non è più possibile farlo oggi che è stata sequestrata da altre forze. In effetti sì, la rivoluzione è stata rubata, e sappiamo bene che molti gruppi salafiti, jihadisti, sostenitori degli Stati Uniti e dell’imperialismo stanno tentando di dirottarla.
 Ma questo in alcun modo appanna o sporca la rivoluzione siriana: solo perché un movimento rivoluzionario viene sequestrato questo non significa che non si debba restare al suo fianco e continuare a sostenerlo. Al contrario: ci sono ancora moltissimi rivoluzionari che lavorano sul terreno, e molti di questi sono nonviolenti, e molti non sono settari e non sono armati. Vogliamo ignorarlo? Se la rivoluzione è stata sequestrata, non dobbiamo per questo accusare le persone.
Dobbiamo invece stare dalla parte della gente, per far tornare a brillare lo spirito di quella rivoluzione. E questo è quello che tanta parte della sinistra continua a non capire                   L’altra faccia della medaglia sono le formazioni della destra e gli islamisti che sostengono la rivoluzione, non perché credano nel diritto alla libertà e alla dignità, ma perché credono che si tratti di una rivolta sunnita contro un regime alawita. Ecco perché è davvero difficile per me partecipare a proteste organizzate dai gruppi islamisti in sostegno alla rivoluzione. Perché per me, per quanto ci siano formazioni religiose all’interno della compagine rivoluzionaria, quella siriana era e resta una rivoluzione per la libertà, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la dignità. Attualmente in Palestina c’è una piccola componente di sinistra che sostiene la rivoluzione, che non pretende di insegnare ai siriani cosa dovrebbero fare o dove abbiano sbagliato. Cerchiamo di organizzare piccole proteste solo per dire alla gente, in Siria, “siamo con voi. Non vi abbiamo venduto per la propaganda del regime”. In Siria una delle sezioni più note dell’intelligence si chiama “Palestina”. Questo significa che ci sono persone torturate – tra cui palestinesi, per altro – in nome della Palestina, in nome del nostro paese, in nome della nostra causa. A quei palestinesi e a quelle persone che credono che il regime di Asad sia davvero un sostenitore della causa, a coloro che non sostengono la rivoluzione, che stanno da parte e dicono “no, non vogliamo farlo” o che restano neutrali io dico: voi avete la vostra Palestina, io ho la mia. La vostra Palestina è una sezione dell’intelligence di Damasco che uccide e tortura le persone.                   La mia Palestina è Khaled Bakrawi, il martire del campo di Yarmouk arrestato e torturato fino alla morte dal regime di Asad. La vostra Palestina è un discorso di Bashar al-Asad. La mia Palestina è il canto dei combattenti per la libertà di Hama. La vostra Palestina è solo vuota retorica. La mia Palestina è la gente di Bustan al-Qasr che in Siria solleva la foto di Samer Assawi (prigioniero politico palestinese, ndt). La mia Palestina è la gente del nord e del sud che canta slogan di solidarietà con Gaza durante l’attacco dello scorso anno e dice “Gaza, saremo con te fino alla morte”. Lo hanno fatto mentre venivano bombardati dal regime di Asad. La mia Palestina è quella della Gioventù rivoluzionaria siriana a Damasco, che ha pubblicato un piccolo libro in solidarietà con il popolo della Nakba e gridato forte che il piano Prawer non sarebbe passato. I rivoluzionari siriani, anche quando hanno affrontato terribili torture, persecuzioni e oppressioni, hanno sempre ricordato le loro sorelle e i loro fratelli in Palestina, e ancora lo fanno. E’ importante ricordarlo. Come è importante ricordare le centinaia di migliaia di prigionieri ancora nelle carceri del regime. Sono siriani, e sono anche palestinesi. Come ad esempio Ali Shihabi, comunista palestinese in carcere da oltre un anno. E Maher al-Jajeh, giovane attivista di Yarmouk di cui non sappiamo più nulla. E il martire Anas Amara, ucciso perché cercava di portare aiuto alla gente del campo rompendo l’assedio. (…) Chiedo un’ultima cosa. Chiedo alle persone che credono che Bashar al-Asad sostenga la Palestina o che si fidano della sua propaganda di andare indietro nella storia, anche solo un po’. Di leggere di più di ciò che lui e suo padre hanno fatto alla Palestina o ai campi palestinesi. E se anche questo non dovesse convincervi, non dimenticate ciò che è stato. Non lasciate che le vostre convinzioni politiche vi impediscano di sostenere il popolo siriano. Perché la sua lotta non ha nulla a che vedere con la geopolitica. Non sappiamo se la rivoluzione vincerà in Siria, ne’ quanto influirà sulla causa palestinese. Ma non mi interessa. Perché il mio sostegno alla causa è incondizionato. E continuo ad avere fiducia nel popolo siriano, in quello stesso popolo che ha avviato la rivolta e che oggi sta combattendo contro lo Stato Islamico. Ho fede in donne come Souad Nofal, ho fede in coloro che continuano a resistere a Damasco e Daraa, dove è nata la rivoluzione, e ad Aleppo e Salamieh, le fantastiche città che hanno manifestato sin dal primo giorno della rivolta. Ho fiducia in questo popolo, che anche se le cose si complicano sempre di più riesce a portare avanti la sua rivolta.                                                                                         E se questo comportasse qualcosa di negativo per la mia causa, non mi importa. Quello che mi importa è la libertà e la dignità delle mie sorelle e fratelli siriani, e di rifiutare che il mio nome, il mio paese o la mia causa siano usati o cooptati da un regime che uccide e perseguita le mie sorelle e i miei fratelli in Siria.                                                                                                                                            *Budour Hassan è un’attivista palestinese che vive a Gerusalemme Est. Questo è il testo del suo intervento alla conferenza “La Siria nelle rivoluzioni arabe” organizzata a New York nel novembre scorso dal Middle East and North Africa Solidarity Network. Il video del suo intervento è qui. La versione originale di questo articolo invece è qui. La traduzione in italiano è a cura di Cecilia Dalla Negra.

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