La sinagoga cade a pezzi, la salvano i musulmani In Belgio il trionfo dell’integrazione religiosa
Ad Arlon la comunità islamica si mobilita per il restauro del luogo di culto: «La fraternità di tutta la...
lastampa.it
«Colpiti dai recenti articoli abbiamo deciso di mobilitarci», ha annunciato Mohamed Bouezmarni, Segretario Generale dell’Ama, l’Associazione dei musulmani di Arlon, che ha lanciato una sottoscrizione pubblica per contribuire al restauro durante la preghiera del venerdì. «In quanto responsabile di un luogo di culto – ha spiegato –, comprendo bene le difficoltà della nostra comunità ebraica. Non hanno alcun posto adatto per pregare. Siamo pronti a dare una mano a questo restauro di interesse generale nel nome dei valori di generosità e sostegno reciproco».
La sinagoga ha salvato i suoi rotoli sacri della Torah durante l’occupazione tedesca, riuscendo a nasconderli ai nazisti che avevano trasformato l’edifico in un deposito di fieno, circostanza che le ha risparmiato la distruzione. L’edificio, di ispirazioni romanico-bizantine, custodisce il più antico cimitero ebraico del Belgio ed è considerato patrimonio della Vallonia.
E’ una comunità ristretta, quella di Arlon, non più di una cinquantina di persone. La sinagoga è in fase di restauro da tempo, ma mancano i fondi e ora non è più sicura. Così, nel momento grave del conflitto fra civiltà e religioni, i musulmani hanno deciso di dare una mano.
«Al di là di discorsi sul vivere insieme – rivela Hajib el-Hajjaji, che sostiene il progetto e contribuisce alla sua diffusione a livello nazionale -, vogliamo andare oltre e veramente costruire insieme qualcosa. I luoghi di culto – spiega – sono luoghi di contemplazione, serenità e di pace: è importante salvare insieme questa sinagoga per le famiglie e i bambini che trovano qui il comfort e la fraternità».
L’invito è aperto a cittadini belgi e no, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose. L’Ama chiede donazioni a tutti. Una mano offerta per rispondere a chi vuole le guerre di religione. Un modo per dire «Noi non ci stiamo». O almeno così pare essere.
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