Israele : Una Lista Araba Unita, per esistere



Una Lista Araba Unita, per esistere


Nei comizi elet­to­rali, nei dibat­titi tele­vi­sivi e nelle inter­vi­ste, il mini­stro degli esteri Avig­dor Lie­ber­man, lea­der del par­tito di estrema destra Yisrael Bei­tenu, descrive gli arabo israe­liani, i pale­sti­nesi con cit­ta­di­nanza israe­liana, come «ter­ro­ri­sti» da cac­ciare via, da «cedere» all’Anp di Abu Mazen. E negli ultimi anni ha pro­mosso leggi discri­mi­na­to­rie e puni­tive con­tro que­sto 20% della popo­la­zione israe­liana. Ha anche otte­nuto l’innalzamento della soglia di sbar­ra­mento per l’ingresso alla Knes­set dal 2 al 3,25%, allo scopo pro­prio di can­cel­lare la pre­senza araba in Par­la­mento. Il risul­tato è stato oppo­sto. I par­titi arabi hanno rea­gito dando vita alla Lista Unita che, secondo gli ultimi son­daggi, otterrà al voto del 17 marzo tra i 12 e i 13 seggi e diven­terà il terzo o quarto gruppo parlamentare.
«Lier­ber­man è riu­scito a rea­liz­zare quello che litigi, riva­lità e dif­fe­renze ideo­lo­gi­che ave­vano impe­dito per decenni. Ha messo insieme come voleva la nosra gente libe­rali e con­ser­va­tori, comu­ni­sti e isla­mi­sti e per­sino arabi ed ebrei», com­menta Has­san Jaba­rin, del cen­tro arabo di assi­stenza legale “Ada­lah”. Certo la Lista Unita è parec­chio ete­ro­ge­nea, tiene insieme for­ma­zioni distanti fra loro. Eppure l’alleanza elet­to­rale nata ini­zial­mente per non scom­pa­rire dal Par­la­mento, nel corso delle set­ti­mane si è rive­lata qual­cosa di più, una sorta di pro­po­sta di “modello sociale” fon­dato sulla piena ugua­glianza e una idea di cit­ta­di­nanza ben diversa da quella che carat­te­rizza oggi Israele. Su que­sto punto batte Ayman Odeh, il 40enne avvo­cato di Haifa, per anni vicino all’ex lea­der del par­tito comu­ni­sta Moham­med Bara­keh, che guida la Lista Unita. Odeh ha messo in luce doti poli­ti­che che hanno sor­preso molti. In un recente dibat­tito elet­to­rale in tv non ha rac­colto le pro­vo­ca­zioni, non è sceso sul ter­reno dello scon­tro ver­bale con Lie­ber­man e gli altri rap­pre­sen­tanti della destra. Ha scelto invece di spie­gare con tono pacato che la Lista Unita non è solo un rife­ri­mento elet­to­rale per la mino­ranza pale­sti­nese in Israele ma una forza poli­tica che offre un’alternativa anche agli ebrei che non si rico­no­scono nei par­titi sio­ni­sti. «Tanti ci discri­mi­nano, altri vor­reb­bero negarci diritti fon­da­men­tali. A que­sti (israe­liani) noi rispon­diamo non solo raf­for­zando l’unità degli arabi ma pro­po­nendo agli ebrei demo­cra­tici di unirsi a noi nella rea­liz­za­zione di uno Stato per tutti», dice Odeh, che durante la cam­pa­gna elet­to­rale ha chie­sto e otte­nuto una posi­zione di basso pro­filo dai suoi com­pa­gni di lista sulla scena poli­tica da anni, come Jamal Zahalka e Hanin Zoabi del par­tito nazionalista-progressista Tajammo (Balad) e Ahmad Tibi (Ram) famoso per le sue risse con Lie­ber­man e il resto della destra alla Knes­set. Nelle scorse set­ti­mane è giunta l’adesione alla Lista Unita, senza dub­bio cla­mo­rosa, dell’ex pre­si­dente della Knes­set e dell’Agenzia Ebraica, Avra­ham Burg. Ebreo osser­vante e a lungo espo­nente di primo piano della poli­tica e delle isti­tu­zioni israe­liane, Burg dopo un esi­lio volon­ta­rio in Europa, ha annun­ciato la “fine” del Sio­ni­smo e l’appoggio a uno Stato binazionale.
La linea inclu­siva adot­tata da Ayman Odeh con­vince soprat­tutto la classe media arabo israe­liana che vive a cavallo tra il nazio­na­li­smo che attira i più gio­vani e una mag­giore inte­gra­zione nello Stato vista con più favore da chi ha supe­rato i 40 anni. Rac­co­glie invece con­sensi deci­sa­mente più mode­sti nelle aree del paese, come il Trian­golo, la bassa Gali­lela a ridosso della Cisgior­da­nia, il Neghev, dove le comu­nità pale­sti­nesi sono pro­fon­da­mente deluse anche dal com­por­ta­mento dei par­titi arabi e denun­ciano con forza le poli­ti­che discri­mi­na­to­rie e puni­tive dello Stato. In que­ste zone è ancora fre­sco il ricordo dell’uccisione som­ma­ria da parte della poli­zia, lo scorso novem­bre a Kufr Kana, di un gio­vane Khayr al Din Ham­dan. «Odeh e i suoi com­pa­gni sba­gliano, il boi­cot­tag­gio del voto, della Knes­set, delle isti­tu­zioni deve essere la nostra vera bat­ta­glia — spiega Moham­med Kabha, atti­vi­sta e mem­bro di una asso­cia­zione pro­gres­si­sta di Arara, vicino a Umm el Fahem, la città che Lie­ber­man vor­rebbe “cedere” all’Anp – lo Stato di Israele così come è stato con­ce­pito e rea­liz­zato dal movi­mento sio­ni­sta farà sem­pre e sol­tanto gli inte­ressi della mag­gio­ranza ebraica e negherà la piena ugua­glianza alle mino­ranze. Par­te­ci­pare alle ele­zioni – afferma il gio­vane atti­vi­sta – signi­fica legit­ti­mare l’apartheid israeliano».
Kabha è con­vinto che la mag­gio­ranza degli 835mila elet­tori pale­sti­nesi d’Israele (il 15% di tutti gli aventi diritto) non andrà alle urne il 17 marzo. Per il boi­cot­tag­gio spinge anche il movi­mento isla­mico del nord della Gali­lea, che con­te­sta la “scelta di par­te­ci­pare” fatta dagli isla­mi­sti di Kufr Qas­sem, più a sud. Nel 2013 votò appena il 56% degli arabo israe­liani. Ayman Odeh si dice fidu­cioso. «L’affluenza alle urne (degli arabi) rag­giun­gerà il 70% e la Lista Unita otterrà 15 seggi», pre­vede Odeh, aggiun­gendo che il fronte arabo unito dopo il 17 marzo non darà appog­gio ad alcun governo. E’ anche vero però che gli altri par­titi rifiu­tano l’idea di una coa­li­zione con gli arabi, che dal 1948 non hanno mai for­mal­mente fatto parte di un governo: una regola non scritta vuole che nell’esecutivo israe­liano ci siano solo par­titi sio­ni­sti. «I voti e i seggi arabi alla Knes­set comun­que saranno impor­tanti e non potranno essere igno­rati – afferma la gior­na­li­sta Nahed Dir­bas – per­chè diranno in modo molto chiaro che gli arabi, i pale­sti­nesi sono uniti ed esi­stono in que­sto Paese».



Elezioni Israele, dissidi tra Lista araba e Meretz

 
In Israele l'opposizione di sinistra rischia di subire una emorragia di voti nelle elezioni politiche del 17 marzo e di perdere uno o due seggi alla Knesset. Lo afferma la stampa odierna commentando dissidi maturati fra il partito della sinistra sionista Meretz e la Lista araba unita.

Ieri avrebbero dovuto siglare un accordo bilaterale per la spartizione dei 'voti in eccedenza': ma la strenua opposizione manifestata da una componente nazionalista all'interno della Lista araba unita ha fatto fallire l'iniziativa. In base alla legge dopo lo spoglio dei voti si procede alla spartizione dei 120 seggi, secondo i rapporti di forza emersi dalle elezioni. I 'resti' - che in genere riguardano tre o quattro seggi - sono poi distribuiti secondo l'entità dei voti in eccedenza (ossia non sfruttati) che ciascun partito può vantare.

Di norma partiti ideologicamente vicini firmano in anticipo accordi bilaterali per evitare che i propri 'resti' vadano in definitiva a partiti molto lontani da loro ideologicamente. La Lista araba unita (che nei sondaggi riceve 12-13 seggi) e Meretz (che nei sondaggi ne riceve 5) dovevano siglare ieri l'accordo sui resti, ma la componente della lista araba Balad si è opposta. Dura la reazione di Meretz, secondo cui elementi moderati nella Lista unificata sono stati sopraffatti da quelli 'nazionalisti'. Delusione viene espressa anche dai dirigenti del partito comunista arabo-ebraico Hadash.
 

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