Moni Ovadia: «Che orrore la strage a Charlie Hebdo, ma l’Islam non è tutto così»



La prima guerra mondiale? Piuttosto “la prima carneficina mondiale”. È il pensiero di Moni Ovadia, che mercoledì porta al Rossetti di Trieste e giovedì al Verdi di Pordenone il suo “Doppio fronte - Oratorio per la Grande Guerra dalle lettere dal fronte”, di e con Lucilla Galeazzi e lo stesso Moni Ovadia.
«Quella guerra - spiega l’attore, drammaturgo, scrittore e musicista nato nel ’46 a Plovdiv, Bulgaria, milanese d’adozione - fu uno sterminio di massa che preparò la seconda guerra mondiale. Furono mandati a morire migliaia e migliaia di poveracci, carne da cannone. Lo spiegava lo stesso Cadorna: bisogna mandare al fronte più uomini di quanti ne uccidano le mitragliatrici, l’unica munizione che non manca al nostro Paese sono gli uomini, se muoiono pazienza. Qui si muore a torrenti umani, scrisse un generale contrario alla guerra».
Lei dice: i nostri problemi nascono da quella guerra.
«Ne sono convinto. È stata la prima vera guerra che ha visto l’irruzione della tecnologia nel senso brutale che oggi conosciamo. Per la prima volta si fece l’uso dei gas, l’arma più vigliacca e proditoria. Pensare che a sollecitare l’uso dei gas fu un ebreo, Fritz Haber, che fu anche, tragica ironia della sorte, lo scopritore dello Zyklon B, il famigerato gas usato nelle camere di sterminio dei lager tedeschi contro gli ebrei...».
Prosegua.
«Nello spettacolo raccontiamo cosa significò usare i gas contro i soldati, cosa fu mettere la tecnologia al servizio della guerra, producendo armi e cannoni terrificanti. Ma non ci limitiamo a questo aspetto per così dire truce. Ironizzeremo anche sulla retorica patriottarda e parleremo anche della coscienza antimilitarista che divenne più forte e appassionata proprio con la Grande Guerra».
I testi di “Doppio fronte” sono tratti dalle lettere dal fronte, dalle memorie dei combattenti (tra cui Gadda e Ungaretti), dai diari di uomini e donne delle nostre terre che vissero la guerra “in casa”, arruolati nel 1914 dall’esercito austriaco e mandati a combattere sul fronte orientale, che nel 1915 si trovarono in trincea contro l’esercito italiano.
Ancora Salomone “Moni” Ovadia: «Fu una guerra moderna e arcaica al tempo stesso, che richiedeva ai soldati sforzi e fatiche disumane, di andare inebetiti verso il baratro, come disse Wiston Churchill. Una guerra di capi senza rispetto per i propri soldati. La gente chiedeva pace ed ebbe un macello: sei milioni di vedove in Europa...».
Prosegue l’artista: «Ma ci fu anche la crescita di una coscienza civile positiva, pensiamo per esempio all’emancipazione delle donne. Nel recital leggiamo un manifesto delle suffragette straordinario, di un antimilitarismo ancora vivo. In fondo il pacifismo nasce con quella guerra, con una generazione di lavoratori che vogliono diventare protagonisti della storia».
La guerra muove denaro.
«La speculazione di guerra c’è sempre stata. Lì si assistette alla nascita della grande industria e finanza. La guerra divora risorse ma sulle guerre si creano grandi ricchezze. Mentre la povera gente sta in trincea, che è sempre puzza, piscio, escrementi».
Le canzoni?
«C’è ovviamente “Gorizia tu sei maledetta”. C’è il repertorio italiano ma ci sono anche brani inglesi, tedeschi, russi. Ci sono l’inno sovietico originale e una canzone in yiddish sugli ebrei che morirono come patrioti. Ma ci sono anche un canto belga e uno americano. E proprio sulla linea antimilitarista dell’insensatezza della guerra, della menzogna della propaganda, insistono le canzoni».
Con Lucilla Galeazzi.
«Che è bravissima. Una grande voce della musica popolare italiana, da tanti anni figura di riferimento della canzone di impronta sociale. Nello spettacolo è cantante e voce narrante. Un piacere e un onore lavorare con lei».
L’anniversario è stato celebrato nella maniera giusta?
«Solo dai canali storici, come la nostra RaiStoria. Altrove è prevalsa la retorica. Che poi la vera celebrazione andava fatta dall’Europa e non dai singoli stati, il che non è avvenuto. Ma voglio sperare che siamo ancora in tempo».
Veniamo alle guerre di oggi. Dopo la strage di Parigi?
«Al di là dell’orrore, al di là della considerazione che è criminale e folle sparare a chi brandisce una matita, passata l’emozione devo dire che a mio avviso c’è stata troppa retorica nel celebrare Charlie Hebdo. Non si può e non si deve criminalizzare tutto l’Islam».
Papa Francesco ha difeso le religioni.
«La satira dev’essere sempre libera, la politica non l’ha mai amata, e ne sappiamo qualcosa in Italia. La censura è sempre deprecabile, ma è anche vero che le religioni non vanno irrise: se lo fai, offendi un sentimento vero, profondo, che illumina la vita di tante persone».
Pensa dunque a dei limiti alla satira?
«Intanto la satira è altra cosa rispetto all’umorismo, che io pratico da sempre. Ho il massimo rispetto per la libertà di espressione, però dovremmo confrontarci sui temi della vita, della conoscenza, della vita civile. Faccio un esempio: se uno ridicolizza le vittime della pedofilia cosa dobbiamo dire?»
Bergoglio piace più ai laici.
«A guardarlo, a sentirlo parlare, si capisce che questo Papa è stato un ragazzo che ha fatto anche a pugni. Quando dice alcune frasi viene fuori l’anima del ragazzo delle periferie, in Argentina...».
Perchè ha rinunciato al seggio da europarlamentare?
«Prima cosa: lo avevo detto sin dall’inizio, accetto la candidatura per dare un contributo, ma poi lascio ad altri, come ho fatto. Secondo: con me lavorano dieci persone, che in mia assenza sarebbero rimaste senza lavoro».
Insomma, non ha voluto fare il politico.
«Qualcuno mi diceva: accetta e continua a fare le tue cose, senza sapere che io, quando faccio una cosa, la faccio seriamente. Se fossi andato a Strasburgo, non avrei potuto farlo part time. Ma continuo a essere impegnato anche in politica, mi considero uomo di teatro e attivista sociale».
Al Quirinale?
«Vedrei bene una figura di garanzia, come Zagrebelsky o Rodotà. Non vedo politici all’altezza, non sono più i tempi di Pertini. Manca una vera forza di sinistra, anche in questo l’Italia dimostra la sua pochezza, ognuno vuole il suo simbolo, il suo strapuntino. Sta per uscire un manifesto, che ho firmato, per la costituente di un’unica forza della sinistra italiana. In mancanza della quale il Paese è perso...».
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