“Migliaia di bambini rapiti ai primi immigrati ebrei arrivati in Israele”
Da “Migliaia di bambini rapiti ai primi immigrati ebrei arrivati in Israele”
di Yechiel A. Mann
Tra il 1948 e il 1954, migliaia di bambini vennero sottratti ai loro
genitori biologici mentre si trovavano ancora il ospedale o in centri
per l’infanzia. Questi bambini vennero successivamente venduti in
Israele o all’estero per consistenti somme (che variarono da caso a
caso) o dati in adozione. Ai genitori non veniva mai detto nulla, se non
che i piccoli erano morti e nonostante le incessanti richieste, nessuno
ottenne mai risposte sulle cause del decesso né ricevette un
certificato di morte o un documento a conferma della scomparsa dei loro
figlioletti; rimasero a lungo ignorati e queste richieste caddero nel
dimenticatoio.
Non
videro mai un corpo e, in genere, nemmeno un luogo di sepoltura. In
alcuni casi, tuttavia, furono mostrate delle tombe ai genitori che, anni
più tardi, decisero di aprire convinti che i loro amati e sani bambini
non fossero davvero morti: le bare vennero infatti trovate vuote.
Responsabili di questi misfatti furono dottori, infermieri, assistenti
sociali e altri membri dell’establishment israeliano dell’epoca.
Ho
ascoltato molte giustificazioni “morali” date a spiegazione dei
rapimenti e credo che non ce ne sia nessuna legittima. L’unica
spiegazione che sono riuscito a trovare per una simile ingiustizia è di
carattere economico. Coloro che si trovavano al potere al momento della
creazione di Israele, operarono per trarre beneficio dal rapimento e la
vendita dei figli di immigrati poveri.
Tali
pratiche sono continuate fino ai primi anni ’60: Alcuni affermano che
ancora oggi vi siano casi simili se pure in scala minore.
Uno
degli errori comuni è credere che questi abusi siano stati riservati
unicamente alle famiglie yemenite. Nella mia ricerca sull’argomento,
sono giunto alla conclusione che ne furono vittime anche immigrati ebrei
provenienti dalla Tunisia, Spagna, Marocco, Libia, Iraq, Iran e Belgio,
per nominare solo alcune delle provenienze individuate. Nella maggior
parte dei casi, comunque, si trattò di ebrei provenienti da paesi
mediorientali.
Il
comitato investigativo ufficiale ha dichiarato che il numero di bambini
rapiti fu più di 1.000. Secondo i dati raccolti da rabbi Uzi Meshulam, i
bambini rapiti erano 4.500. A mio avviso, il numero effettivo è ancora
più alto. Considerando che molte delle famiglie non hanno mai denunciato
la scomparsa del proprio bambino, credo che furono circa 10.000 i
piccoli sottratti e venduti nel silenzio; e non mi stupirei se il numero
fosse ancora maggiore.
Da “Spazzati via sotto il tappeto magico”
di Yechiel A. Mann
Il 5
maggio 1998 ho partecipato a un raduno promosso dall’organizzazione
Mishkan Ohalim ai Gan Haatzmaut (I giardini dell’Indipendenza) a
Gerusalemme.
Presenti all’incontro, alcuni membri delle 1.500 famiglie i cui figli
erano stati rapiti in Israele durante l’operazione “Tappeto magico” nei
primi anni successivi alla formazione dello stato, quando vi erano state
trasferite dallo Yemen al fine d’incrementare l’immigrazione della
diaspora ebraica. L’operazione ebbe inizio nel 1949 portando quasi
50.000 ebrei yemeniti in Israele; aerei americani e inglesi effettuarono
allo scopo circa 380 voli decollando dalla capitale yemenita, Aden. La
maggior parte degli ebrei yemeniti vivevano in diverse aree del paese e
avevano dovuto affrontare molteplici difficoltà prima di raggiungere la
città.
Ma
oltre a quelle yemenite, al meeting erano presenti anche famiglie
provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est, dagli Stati Uniti e dal Sud
America (e da molti altri paesi dai quali erano emigrati gli ebrei verso
Israele), venute a denunciare la perdita dei loro figli e delle loro
figlie in circostanze simili.
[…..] In questa circostanza, è stato tuttavia interessante il mio
incontro con Dora Vachnun: quarantottenne e residente ad Haifa, Dora mi
ha raccontato di aver perso la sorella in uno dei tanti episodi di
rapimento 42 anni prima.
[…..] La famiglia Meshulam era approdata in Israele agli inizi degli
anni ’50. Sia Dora che Esther [la madre] mi hanno raccontato delle
condizioni che trovarono una volta arrivate nel paese. Nonostante il
padre di Dora percepisse un reddito consistente lavorando al porto di
Haifa, nei primi anni nessun immigrato in Israele viveva in buone
condizioni. La loro situazione, tuttavia, era migliore rispetto a
quella della maggioranza degli altri immigrati ed erano gli unici,
all’interno del campo, ad avere un lavandino nella propria baracca.
[…..] La loro famiglia aveva mezzi finanziari sufficienti e non avevano
problemi a provvedere ai propri figli. Dora ha due fratelli.
Esther Meshulam, oggi settantatreenne, diede alla luce Mazal (I.D.
5391242) il 5 gennaio 1956. Il 20 settembre 1956, Estere era uscita con
la figlia a prendere una boccata d’aria e fare qualche compera; dopo un
po’, aveva avuto l’impressione che la bambina non stesse bene e decise
di portarla da un dottore nelle vicinanze; siccome non era a casa,
l’aveva portata da un altro medico, anche lui assente. A questo punto,
Esther aveva pensato di accompagnare la piccola Mazal all’ospedale
Rambam. Arrivata all’ospedale un dottore visitò Mazal, disse che la
bambina sembrava in buone condizioni di salute e chiese ad Esther le
ragioni che l’avevano spinta a portare Mazal in ospedale: lei riferiì le
sue apprensioni e a quel punto il dottore aveva deciso di ricoverare la
piccola per tenerla sotto controllo. Però quando Esther, rasserenata,
era entrata nel reparto per restare accanto a Mazal, un’infermiera
l’aveva fermata bruscamente dicendole che ai familiari non era permesso
rimanere con i propri bambini.
Esther era tornata alla baracca nel pomeriggio scossa all’idea di aver
lasciato la figlioletta da sola. Il marito, Meir-Nissim, vedendola in
ansia, aveva cercato di convincerla che non c’era motivo di preoccuparsi
e che sarebbe andato lui stesso ad accertarsi che Mazal stesse bene.
Arrivò all’ospedale intorno alle 4 del pomeriggio. Qui non gli venne
dato il permesso di entrare nel reparto ma le infermiere lo portarono
davanti a una vetrata attraverso la quale riuscì a vedere i bambini
ricoverati. Tra questi riconobbe Mazal che, a sua volta, lo riconobbe e
stese le braccia nella sua direzione. Gli vietarono di portar via la
bambina, ma Meir-Nissim si tranquillizzò nel constatare che la piccola
stava bene….
Due o
tre ore dopo due uomini, che dichiararono di essere poliziotti, si
presentarono alla baracca dei Meshulam informandoli che Mezal era morta.
La famiglia rimase sconvolta. I genitori trascorsero la notte intera a
piangere e il giorno successivo si recarono al cimitero per vedere il
“corpo” della figlioletta, ma nessuno gli permise di identificare la
salma che venne frettolosamente sepolta. Ai genitori fu mostrato solo un
lenzuolo bianco con qualcosa dentro, legato su entrambi i lati.
[…..]”Forse hanno ammazzato un pollo”,dice adesso Dora. “Forse hanno
preso un cane morto e l’hanno sepolto”, le fa eco la madre.
[…..] Il dottore certificante era il dottor Garfel, accusato in seguito
di essere coinvolto in altri casi di rapimento di bambini…………
Da “Come occultare la storia: i mezzi d’informazione israeliani e la vicenda dei bambini yemeniti”
Di Shoshana Madmoni-Gerber
“Lasciavo i piccoli in buona salute e l’indomani mattina, quando tornavo
in ospedale e chiedevo ‘dove sono i bambini?’ mi rispondevano che se ne
erano andati. Erano morti. In che senso morti? Stavano bene. Non
avevano nulla. All’epoca non lo sapevo, ma oggi quando mi dicono che
quei bambini morirono, so che non è vero. Venivano dati in adozione e
mandati soprattutto negli Stati Uniti.” (Infermiera Ruja Kuchinski,
1996)
Il
giorno in cui mia zia Hammama emigrò dallo Yemen in Israele nel 1949,
diede alla luce un bambino sano. Appena tornata dall’ospedale al campo
degli immigrati di Rosh Ha’ayn, l’infermiera che l’accompagnava in
ambulanza tenendo in braccio il neonato la invitò a scendere; quando mia
zia si voltò, l’ambulanza era scomparsa nel nulla. Non vide mai più il
suo bambino………..
[…..] mi capitò di ascoltare racconti del genere da parte di molti
yemeniti e appartenenti ad altri gruppi etnici non europei; scoprii così
che centinaia di famiglie ebree in Israele custodivano nella memoria
srorie simili………..
Il caso dei neonati yemeniti: che cosa è successo?
Durante l’immigrazione di massa verso Israele tra il 1948 e l’inizio
degli anni ’50, centinaia, se non addirittura migliaia di neonati
scomparvero dai campi israeliani di transito e di accoglienza degli
immigrati e dal campo di transito di Hashed, in Yemen. Secondo le
testimonianze rese alla commissione di Kedmi (1995 – 2001), le politiche
di assimilazione degli ebrei yemeniti prevedevano la separazione dei
bambini dai genitori perché le strutture in pietra destinate ai neonati
erano in condizioni migliori delle tende e delle strutture il lamiera
che accoglievano gli adulti. I neonati venivano generalmente prelevati
dai centri che li ospitavano all’insaputa dei genitori e senza il loro
consenso. I genitori che invece erano presenti all’atto di rapimento,
hanno testimoniato che le autorità del campo gli avevano sottratto i
figli con la forza, a volte agendo con violenza.
Testimonianze successive hanno rivelato che lo scenario tipico era il
seguente: si dichiarava che il piccolo era malato e veniva portato in
ospedale nonostante i genitori sostenessero il contrario. Il bambino
veniva quindi trasferito in una delle varie istituzioni del paese come
la Wizo – un’organizzazione internazionale di donne con centri sanitari a
Sad, Gerusalemme e Tel Aviv – e ai genitori si riferiva poi che il
piccolo era morto; alcuni impiegati pubblici ebbero addirittura la
sfrontatezza di testimoniare che questi “genitori mostravano
disinteresse per i loro figli”.
[…..] dichiarazioni secondo le quali i bambini erano stati rapiti e
adottati da ebrei askenaziti o venduti a famiglie ebree all’estero……
[…..] la rivista [Haolam Haze] riferì che i bambini venivano mandati
all’estero per le adozioni al prezzo di 5.000 dollari statunitensi a
testa…..
[…..] i media controllati principalmente dagli askenaziti, non avrebbero mai permesso il diffondersi di queste notizie…
[…..] Una delle maggiori strategie usate dagli organi di informazione fu
quella di sbarrare l’accesso ai media alle famiglie yemenite e agli
attivisti che esigevano ulteriori indagini e risposte da parte delle
autorità, dando nel contempo grande credito e visibilità alle
testimonianze dei rappresentanti dello stato e indebolendo in tal modo
la comunità yemenita…….
[…..] i media addirittura hanno accusato i genitori yemeniti di non
volere i propri figli o, peggio, hanno giustificato il rapimento dei
neonati come un atto di carità, per offrirgli un futuro migliore.
[…..] dipingevano gli ebrei yemeniti come a un tempo esotici e
inferiori, gente primitiva bisognosa di riscatto e guida….. in Israele
avevano assistito “per la prima volta nella loro vita al bagno di un
neonato o al cambio di un pannolino” (Davar, 24 febbraio 1966).
[…..] La capoinfermiera Sonia Milshtein sconvolse la commissione Kedmi
allorché, riferendosi ai neonati yemeniti, li aveva chiamati “pacchetti”
e “carcasse” (Ha’ir, 27 ottobre 1995).
[…..] Quando Sara Perl, presidente della Wizo israeliana, testimoniò di
fronte alla commissione Kedmi, anche lei dichiarò che secondo la sua
responsabile i genitori non rivendicavano la restituzione dei loro figli
perché “semplicemente non li volevano, avevano già abbastanza
preoccupazioni e grattacapi” (“Ha’ir, 3 novembre 1995).
[…..] Il biasimo per non aver cercato abbastanza o aver trascurato i
propri figli, ha costretto i genitori a difendersi da false accuse
mentre rivivevano la loro tragica perdita.
[…..] La tragedia irrisolta dei neonati yemeniti non svanirà con il
tempo, come sperano alcuni leader politici. Le ferite mai rimarginate di
madri e padri diventano solo ancor più profonde mano a mano che le
generazioni più giovani prendono coscienza dell’ingiustizia incisa nella
vita delle loro famiglie e comunità…...
Parti di articoli tratti da
Ebrei arabi: terzo incomodo?
Zambon Editore
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