L’India è pronta al suo storico cambiamento di linea politica riguardo a Israele?

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di Vijay Prashad

1° gennaio 2015

Una risoluzione annacquata  da parte degli stati arabi per creare un programma per la fine dell’occupazione di Israele – con pochi dettagli – è stata bocciata ieri al Consiglio di Sicurezza dell’ONU .

Gli Stati Uniti e l’Australia hanno votato contro,  come era previsto. Anche il Segretario di Stato americano  John Kerry si è dato da fare con i telefoni per esortare gli stati membri ad astenersi – la risoluzione sarebbe passata se 9 stati avessero votato “sì”. Soltanto 8 lo hanno fatto, come  si è saputo, il che significa  che gli Stati Uniti non hanno dovuto esercitare  il loro potere di veto.

Che anche questa soluzione tiepida non sia stata approvata dal Consiglio di Sicurezza, è un’indicazione del controllo che hanno gli Stati Uniti su qualsiasi  mossa dell’ONU riguardo a Israele. Nell’Assemblea Generale, tuttavia, le faccende sono state diverse.

Nel corso dei due decenni passati, i voti all’Assemblea Generale dell’ONU per l’occupazione israeliana della Palestina di solito si allineano allo stesso modo: tutto il mondo vota a favore dell’autodeterminazione della Palestina, mentre gli Stati Uniti, Israele e alcuni dei suoi alleati preferiti votano a favore dell’occupazione israeliana. Gli elettori più  costanti di questo piccolo blocco sono gli Stati Federali della Micronesia, l’arcipelago di Palau, le isole Marshall e, di recente, il Canada.

L’intero blocco del Sud Globale all’ONU, il G77 [organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite] – ora formato da 134 stati membri – vota a favore della Palestina. Questa è stata la posizione del G77 fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1964.  La Cina, la Russia e gli Stati europei sono  entrati a far parte di questa unanimità in anni recenti. Tra i paesi del G77 uno dei leader morali è stata l’India. Ha difeso costantemente i diritti dei palestinesi ed è un importante esempio per il G77 e per il Movimento dei [paesi] Non-Allineati.

Le faccende sono più instabili, attualmente. Negli scorsi due decenni l’India si è avvicinata di più a Israele per almeno due motivi. Primo, l’India – la più grossa importatrice mondiale di armamenti – è arrivata a dipendere dalle importazioni di armi da Israele. Attualmente l’India acquista metà delle armi che esporta Israele. In maniera indiretta l’India sussidia l’occupazione della Palestina fornendo questo importante incentivo all’economia israeliana.

Secondo, il Partito Bharatiya Janata (BJP) che guida il governo di destra a Nuova Delhi ha avuto una lunga affinità con l’umore  sionista riguardo al territorio e all’identità. Fantasie su un’alleanza tra le legioni del Sionismo e dell’Hindutva (l’ideologia del BJP) contro il “terrorismo islamico” hanno spinto a questo legame.

La distanza che ha percorso la politica estera indiana fin dall’apice degli anni ’70 e ’80, è notevole. Non ci sono più le visite cordialmente espansive della leadership palestinese in India – c’è stato un tempo in cui il Primo Ministro indiano, Indira Ghandi accoglieva personalmente  il capo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), Yasser Arafat. Ora l’ambasciatore palestinese a Nuova Delhi, Adli Hassan Shaban, si è rivolto  ai  media per lamentarsi delle timide affermazioni  fatte dal governo indiano durante i bombardamenti di Gaza nel 2012  e nel 2014.

Il 21 dicembre, Amid Baruah del quotidiano The Hindu, ha riferito che “l’India potrebbe mettere fine al suo appoggio alla Palestina, all’ONU.” Una fonte anonima del governo indiano ha comunicato a Baruha che il governo di destra “sta guardando la documentazione sulle votazioni svoltesi alle Nazioni Unite circa il problema palestinese.” L’implicazione era che l’India potesse unirsi agli Stati Uniti, a Israele, al Canada, a Palau e alla Micronesia nel votare a favore dell’occupazione dei palestinesi. Sarebbe un colpo alla solidarietà del Sud globale.

Nessun cambiamento nella politica

C’è un precedente di questa spaccatura. Nel 2007, l’India ha voltato le spalle al Global South e ha votato due volte contro l’Iran all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, (IAEA). E’ stato un grave shock. La preoccupazione era che il voto dell’India potesse trascinare altri a conformarsi al consenso che gli Stati Uniti avevano richiesto ai paesi del sud  – lealtà verso gli obiettivi della loro politica estera in cambio di una buona parola da parte del Tesoro degli Stati Uniti al Fondo Monetario Internazionale  e alla Banca Mondiale e anche alle banche commerciali.

Tuttavia, il voto dell’India non ha provocato grave disordine nel Global South. E, a quell’epoca non ha neanche cambiato il tenore della diplomazia indiana. Come ha detto Stephen G. Rademaker, ex Vice Segretario per la Non proliferazione e la Sicurezza Internazionale: “Sono la prima persona ad ammettere che i voti [dell’India] all’IAEA sono stati ottenuti con la forza.” Questa costrizione significava che non c’era nessun spostamento nella diplomazia indiana: i voti del 2007 erano insoliti da ogni punto di vista.

Quando gli hanno fatto delle domande sull’articolo pubblicato su The Hindu, Syed Akbaruddin, portavoce  del Ministero degli Affari Esteri, ha detto: “Non c’è alcun cambiamento nella nostra politica di estendere l’appoggio tradizionalmente forte alla causa palestinese mantenendo allo stesso tempo buone relazioni con Israele.”

Le prove del costante appoggio alla Palestina è stato recentissimamente dimostrato nel messaggio del Primo Ministro Narendra Modi all’ONU in occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con il popolo palestinese (29 novembre). Il Primo Ministro ha detto che l’India continua ad appoggiare il popolo palestinese nella lotta per arrivare a uno stato palestinese sovrano, indipendente, fattibile e unito all’interno di confini sicuri e riconosciuti, accanto e in pace con Israele, e con Gerusalemme est come sua capitale.” Questa è in realtà la posizione convenzionale del governo indiano.

L’ex ambasciatore indiano K.P. Fabian che aveva svolto il suo incarico in Iran e in Qatar, mi ha detto che nell’“establishment diplomatico indiano c’è una scuola di pensiero che sta aumentando secondo la quale è nell’interesse dell’India avvicinarsi a Israele senza preoccuparsi molto della reazione  o della suscettibilità araba o palestinese.” Questa è la scuola di pensiero che crede anche che l’India abbia bisogno di buttarsi nell’orbita statunitense – parte dell’accerchiamento  della Cina che comprenderebbe di  Giappone,  Corea del Sud, e Australia.

Gli interessi realistici dell’India interrompono  questa risacca della destra. L’India continua ad avere necessità di petrolio e gas del Golfo Arabico, e quindi non può permettersi di fare un taglio netto dando il  consenso alla Palestina. Il blocco dei BRICS fin dalla sua formazione ha preso una posizione ferma sulla Palestina. L’India, come paese che è stato socio  fondatore  del gruppo, ha trovato che fosse imprudente allontanarsi troppo dalle loro posizioni collettive. Nella dichiarazione fatta a novembre,  il Primo Ministro ha fatto notare che l’India si è unita con il Brasile e il Sudafrica pere finanziare i progetti di sviluppo a Gaza, compreso il Centro medico Atta Habib a Shujiyaa, bombardato dagli Israeliani durante il loro ultimo attacco.

Malgrado le affettuosità per Israele tra i falchi dell’establishment, certe importanti limitazioni materiali impediscono di tuffarsi a capofitto nei discorsi di Israele. Un voto all’ONU a favore di Israele sarebbe impossibile a breve o medio termine.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/is-india-set-for-historic-policy-change-on-israel
Originale: al-Araby
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

L’India è pronta al suo storico cambiamento di linea politica riguardo a Israele?

http://znetitaly.altervista.org/art/16622


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India e Israele cercano di approfondire i legami dopo la vittoria della destra indù

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