La Shoah dei neri




IL CASO Furono da 10 a 30mila gli uomini di colore finiti nei lager nazisti: parla lo studioso Serge Bilé che ha ricostruito la vicenda
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L CASO
Furono da 10 a 30mila gli uomini di colore finiti nei lager nazisti: parla lo studioso Serge Bilé che ha ricostruito la vicenda
La Shoah dei neri
«I primi campi di sterminio tedeschi sorsero in Africa nel 1905: in Namibia operavano anche il maestro di Mengele e il padre di Goering»
Fonte Avvenire Da Parigi Daniele Zappalà
«Un giorno, una mia collaboratrice ha trovato per caso una foto al Museo dell’Olocausto di Washington. Mostrava un nero in un campo di concentramento. Sono riuscito, in seguito, a ritrovarlo ancora in vita. Da lì in poi, le memorie si sono liberate e sono partito a raccogliere altre testimonianze: in Senegal, Germania, Belgio, Spagna». A parlare della sua inchiesta adesso pubblicata in volume in Francia col titolo autoesplicativo Noirs dans les camps nazis («Neri nei campi nazisti», edito da Le Serpent à Plumes) è Serge Bilé, noto reporter e documentarista originario della Martinica.
In apertura, lei sostiene che l’antesignano dei campi nazisti si trova già nella Namibia di inizio ‘900 colonizzata dai tedeschi. In particolare, al tempo della repressione del popolo nero “ribelle” degli Herero. Qual è il nesso?
«I primi campi di concentramento della storia tedesca sono entrati in funzione in Namibia nel 1905. Sono dello stesso tipo rispetto a quelli del periodo nazista. Perfino il nome con cui vengono designati è identico: konzentrationslager. Ci sono reticolati di filo spinato e i deportati vengono tatuati. Mancano invece camere a gas o forni crematori e i deportati Herero vengono impiccati agli alberi. Ma ho scoperto altri elementi di continuità: in Namibia operava un dottore, Eugen Fischer, dedito a esperimenti di sterilizzazione sui deportati. Lavorerà poi anche in epoca nazista avendo come braccio destro Josef Mengele, il futuro carnefice di Auschwitz. Un altro personaggio-chiave del periodo namibiano fu Heinrich Goering, padre del gerarca nazista».
L’avvento del nazismo porterà a una progressiva persecuzione anche dei tedeschi neri. In che modo?
«Le leggi razziali di Norimberga del 1935 valgono non solo per gli ebrei, ma anche per neri e zingari. Ai tedeschi originari delle colonie è ritirato il passaporto, non sono più dunque cittadini tedeschi. La musica jazz e di origine nera non sarà più diffusa dalle radio. I neri rimasti in Germania verranno in segu ito sistematicamente sterilizzati e chi infrange l’imposizione di non frequentare gli ariani è deportato».
Al 1936 risalgono le vittorie di Jesse Owens ai Giochi olimpici in Germania. Quest’evento simbolico ebbe qualche effetto, pur solo in termini di dibattito?
«All’epoca, tutti erano al corrente delle persecuzioni in Germania. Ma fu scelto il silenzio per non recare disturbo, per così dire, all’organizzatore tedesco dei Giochi. Da alcune testimonianze, ho solo appreso che quelle vittorie di Owens furono vissute dai neri tedeschi come una rivincita, certo solo di un giorno, sulla politica di Hitler. È pensando certamente anche a ciò che Hitler uscì dallo stadio senza mai stringere la mano del campione».
Al di là dei calcoli geopolitici, i silenzi sulla condizione dei neri in Germania sono legati a un razzismo diffuso all’epoca anche a livello internazionale?
«Sì. All’epoca, a vari livelli, il razzismo verso i neri non era certamente una prerogativa tedesca ma coinvolgeva l’Europa intera e gli Stati Uniti. Basti pensare all’atteggiamento francese o belga nelle colonie africane».
«La storia li ha dimenticati», lei scrive dei deportati neri nei campi di sterminio nazisti. Chi erano?
«Oltre a chi proveniva dalle colonie nella madrepatria tedesca, vi erano altre tipologie. Occorre ricordare che nelle truppe francesi e belghe che continuarono ad occupare la Renania dopo la Prima guerra mondiale, vi erano anche soldati neri originari dell’Africa e delle Antille. Ciò fu vissuto in Germania come la cosiddetta “vergogna nera”. Tanto più che dalle relazioni di questi soldati con donne tedesche erano nati circa 800 bambini meticci, poi qualificati come i “bastardi della Renania”. Questi bambini saranno sterilizzati e diventeranno, assieme a gli oppositori politici di colore, i primi deportati neri nei campi di concentramento. Le leggi razziali faranno ancor più precipitare la situazione. Ma nei campi finiranno anche resistenti, oppositori, comunisti e soldati neri in provenienza di Spagna, Francia, Belgio, Olanda».
Quanti furono?
«Il numero esatto rappresenta un vero problema, dato che all’epoca non vi erano che tre soli Paesi neri indipendenti: Etiopia, Liberia e Haiti. Dunque, un senegalese deportato era considerato come francese e, per di più, la frequente somiglianza dei nomi fra abitanti delle colonie e della madrepatria rende oggi impossibili tante distinzioni. Ma, secondo una ragionevole valutazione, i deportati neri dell’epoca nazista furono fra i 10 e i 30 mila».
Grandi figure dell’emancipazione nera come Nelson Mandela, Léopold Senghor o Aimé Césaire sono raramente tornate con la memoria su queste persecuzioni europee. Perché?
«Sfortunatamente non l’hanno fatto, pur vivendo direttamente o indirettamente quella segregazione. Chi ha vissuto quell’esperienza, credo, ha voluto dimenticarla. Ma è anche vero che in termini di memoria ha prevalso la tendenza a interessarsi alla schiavitù e alla tratta negriera. Il resto, il prima come il dopo, rischia così di restare a margine. A mio parere, a torto».
Torniamo all’inizio: gli Herero. I discendenti dei superstiti, ancor oggi, chiedono il riconoscimento del primo genocidio del ‘900. Cosa pensa dell’attuale posizione di Berlino?
«La Germania ha già chiesto perdono ma, al contempo, ritiene che l’attuale cooperazione con la Namibia valga anche come riparazione. Personalmente, trovo quest’atteggiamento molto ingiusto».

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