Jcall Europa :Per il riconoscimento dello Stato di Palestina
Per il riconoscimento dello Stato di Palestina
Nel maggio del 2010
abbiamo lanciato un “Appello alla ragione” consapevoli
del fatto che - per il futuro di Israele come stato democratico
in cui gli ebrei siano maggioritari - è urgente dare vita a uno
stato palestinese pienamente sovrano che viva in pace con
Israele. Più recentemente abbiamo sperato che i negoziati
avviati nel luglio 2013 dagli Stati Uniti e con l’impegno
personale di John Kerry avrebbero condotto ad una soluzione,
basata su parametri ben noti a coloro che sono impegnati da
anni nella trattativa di pace.
Sappiamo che con il fallimento dei
negoziati vi è stato un ritorno alla violenza, come sempre in
Medio Oriente, allorché la mancanza di un’iniziativa politica fa
il gioco degli estremisti da una parte e dall’altra. La guerra
di Gaza ha forse indebolito temporaneamente Hamas ma non ha
risolto i problemi. Il numero altissimo di vittime palestinesi e
l’intensità delle distruzioni hanno danneggiato l’immagine di
Israele nel mondo. In Cisgiordania e a Gerusalemme est
l’incessante espansione degli insediamenti da parte di Israele
rafforza il senso di frustrazione e di rabbia della popolazione
palestinese. Ne è seguita la ripresa di attentati contro civili
israeliani. In questo clima di degrado si inaspriscono le accuse
reciproche a conferma della totale mancanza di fiducia fra le
due parti in lotta.
Due anni fa avevamo sperato che
l’ammissione della Palestina all’ONU con statuto di osservatore
sarebbe stata la premessa di un ritorno ai negoziati diretti,
che soli potranno risolvere le tante questioni che si
frappongono alla creazione di uno stato palestinese. I negoziati
hanno avuto luogo, ma con i risultati che conosciamo.
Oggi noi, come ebrei e cittadini europei,
indissolubilmente legati al futuro e alla sicurezza di Israele,
non possiamo assistere impotenti a questo progressivo
deterioramento della situazione e al fallimento annunciato che
porrebbe fine al progetto sionista. Per questo sosteniamo la
domanda dei palestinesi di un riconoscimento del loro stato. Si
può sperare che un tale cambiamento dello status della
Palestina, appoggiato da paesi di provata amicizia verso
Israele, provocherà uno choc nella regione e ridarà speranza ai
due popoli. Tale riconoscimento sarà per i palestinesi solo la
prima tappa in vista della creazione del loro stato. Dovrà
essere seguito da negoziati diretti con Israele per definirne le
caratteristiche future.
Il primo ministro d’Israele Netanyahu ha
più volte riaffermato il suo impegno, assunto in occasione del
celebre discorso all’Università di Bar Ilan nel 2009,
in favore della soluzione a due stati. Sul finire della
guerra di Gaza nell’agosto scorso dopo avere elogiato il
Presidente Abbas per la sua moderazione e la sua condanna dei
bombardamenti compiuti da Hamas sul territorio di Israele, si
era impegnato a proporre ai palestinesi un nuovo orizzonte
politico. È ora di farlo, nell’interesse stesso di Israele.
A coloro che criticano l’unilateralismo del
progetto palestinese occorre ricordare che dal 1967 è stato per
primo Israele che ha messo in atto una politica unilaterale
espandendo gli insediamenti nei territori palestinesi. Persino
il ritiro dalla striscia di Gaza nel 2005 che poteva essere il
preludio alla creazione dello stato palestinese non fu negoziato
con l’Autorità palestinese. Tale politica ha solo rafforzato,
tra i palestinesi, la posizione degli estremisti, in primo luogo
quella di Hamas, che si alimenta di questo conflitto.
A coloro che criticano la comunità delle
nazioni accusandola di mobilitarsi solo “contro” Israele
abbandonando alla loro sorte migliaia di vittime di altri
conflitti ben più funesti in altre parti del mondo, occorre
ricordare che l’intervento internazionale ha permesso di porre
fine ai conflitti nei Balcani. Certamente con il moltiplicarsi
delle crisi un intervento di forze di interposizione è sempre
più difficile. Ma la situazione odierna nel Medio Oriente offre
anche a Israele delle opportunità di alleanze strategiche - in
particolare con i paesi musulmani impegnati nella lotta contro i
movimenti islamisti - che ne rafforzerebbe la posizione
internazionale.
A coloro che evocano gli attentati - fino
all’orribile eccidio compiuto in una sinagoga a Gerusalemme -
per contrastare le iniziative volte a riconoscere la Palestina,
ricordiamo la frase di Yitzhak Rabin: ”Dobbiamo combattere il
terrorismo come se non ci fosse un processo di pace e proseguire
in questo processo come se non ci fosse il terrorismo”.
Solo un rapido ritorno alla politica con un
forte impegno della comunità internazionale consentirà di
opporsi all’avanzata dei fondamentalismi che rischiano di
incendiare il Medio Oriente. Oggi in Israele si alzano delle
voci in seno a settori importanti della politica, dell’intelligentsja,
dell’esercito e dei servizi segreti per sollecitare un
riconoscimento della Palestina.
È tempo che
tale appello sia fatto proprio dagli amici di Israele in Europa.
David Calef, David Chemla, Massia Kaneman,
Gerard Unger, Willy Wolsztajn,
dirigenti di Jcall Europa
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