Dai vescovi cattolici di Terra Santa un nuovo appello per Cremisan

 dicembre 2014
Uno scorcio della collina di Cremisan. Sullo sfondo gli insediamenti israeliani che avanzano. (foto Mazur/Catholicnews.org.uk)
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Suona come un estremo campanello d’allarme il comunicato che l’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) ha emesso venerdì scorso, 5 dicembre, sul caso Cremisan. «Sia resa giustizia alla Valle di Cremisan», scrivono i capi religiosi delle comunità cattoliche «e si fermi la costruzione del muro di separazione, che è contro il diritto internazionale».
Cremisan è una collina rigogliosa di 170 ettari coltivati a vigne e ulivi a nord-ovest di Betlemme. Vi sono i poderi di 58 famiglie di coltivatori, in gran parte abitanti del villaggio di Beit Jala, e due proprietà più ampie: la casa ove ha sede l’azienda vitivinicola fondata dai salesiani nel 1885, e, più a valle, il convento e i terreni delle suore salesiane. Da decenni le religiose mandano avanti una scuola elementare che oggigiorno offre istruzione primaria ad oltre 400 alunni palestinesi.
A ovest e ad est della collina sorgono gli insediamenti israeliani di Har Gilo e di Gilo. La linea verde tracciata con l’armistizio del 1949, dopo la guerra arabo-israeliana dell’anno prima, passa più a nord. Di là Israele, di qua i Territori palestinesi sotto occupazione militare israeliana dal 1967.
Il muro di separazione israeliano, costruito alle porte di Betlemme a partire dal 2004, sulla collina di Cremisan non è ancora stato completato a causa delle vertenze legali in corso. Qualche anno fa, infatti, le famiglie di Beit Jala interessate (e più tardi anche le salesiane) hanno deciso di opporsi pacificamente al tracciato del Muro portando la questione davanti ai tribunali israeliani. La loro richiesta è che lo sbarramento sorga in prossimità della linea verde, risparmiando così i terreni agricoli e non separandoli dalle abitazioni dei loro legittimi proprietari.
Ora come ora, esauriti i gradi di giudizio inferiori, la questione è all’esame dell’Alta Corte di giustizia israeliana, la cui sentenza – esaurita la fase istruttoria – è data ormai per imminente. Di qui la ragione dell’appello accorato degli ordinari cattolici pochi giorni fa.
Il comunicato denuncia apertamente che «il muro di separazione è contro il diritto internazionale» ed è stato voluto da Israele «non è per garantire la sicurezza dei suoi confini prima del giugno 1967». «In realtà esiste per proteggere gli insediamenti costruiti illegalmente su terreni confiscati in precedenza negli anni Settanta, e per offrire l’opportunità di espansione agli insediamenti di Gilo e Har Gilo».
«Il muro – proseguono gli ordinari cattolici – aliena i diritti fondamentali e la libertà della comunità cristiana di Beit Jala. L’Aocts sottolinea che la confisca delle terre e l’espansione degli insediamenti non contribuiscono alla pace nella regione», anche perché costituiscono un ulteriore incentivo all’emigrazione dei palestinesi cristiani.
I capi religiosi cattolici auspicano infine che l'Alta Corte israeliana intimi di cambiare il percorso del muro, facendo sì che si attesti lungo la linea verde. Alla comunità internazionale i membri dell’Aocts chiedono di «agire immediatamente per proteggere l'integrità della valle di Cremisan, dalla parte palestinese», mentre «a tutti coloro che detengono il potere e l'autorità» viene chiesto di e accogliere «i valori della giustizia e della pace, basati sul rispetto reciproco e la legittimità internazionale».
Il 4 settembre scorso il ministero della Difesa israeliana, su richiesta dei giudici formulata un mese prima, aveva presentato una variante al tracciato in base alla quale entrambe le case religiose salesiane (quella dei padri e quella delle suore) resterebbero sul versante palestinese del muro, mentre i terreni agricoli – resi accessibili con appositi varchi riservati ai proprietari terrieri ma controllati dai militari – finirebbero al di là della barriera.
L’ultima udienza pubblica che l’Alta Corte ha dedicato al caso Cremisan si è svolta il 30 novembre scorso per dar modo alle parti in causa di esprimersi su questa ipotesi, che è stata rigettata dai ricorrenti, così come dalle autorità cattoliche di Terra Santa.
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