“Fratelli ebrei”, alcune domande a Stefano Sarfati
- Categoria: Rete ECO
- Pubblicato Venerdì, 31 Ottobre 2014 05:55
- Scritto da Diana Carminati
Libreria delle donne, 1 agosto 2014
il manifesto
In riferimento al suo intervento su il Manifesto del 27 luglio 2014
le chiedo: Perché è così sconcertato dalla lettera di Claudio su
Metro, che per lei sembra cadere “nella trappola dell’identità che
mette tutta l’erba in un solo fascio?” per cui conclude “ora toccherà
anche difenderli da un sentimento crescente di odio che personaggi in
cerca di argomenti vanno fomentando”? Nella trappola identitaria
(religiosa? razziale?), ancora oggi, sono costretti a cadere tutti
quanti gli occidentali, non ebrei, per una precisa volontà di
identificazione da parte di molti ‘ebrei’, vedi ad es., i gruppi che
prendono una posizione politica, in questo caso sulla Palestina,
come “Ebrei contro l’occupazione”, IJAN (International Jewish
AntiZionism Network), Jwish Against Genocide ecc. ecc. ma non solo
questi. Il Claudio in questione fa un appello ai “Fratelli ebrei”
per una presa di posizione contro la ‘guerra’ a Gaza: non mi sembra
che ci sia ombra di “antisemitismo”, anzi, c’è un senso di
sconforto, di grande disperazione e smarrimento nel vedere che
cittadini italiani, ebrei, salvo pochissimi dissidenti in
generale dalle politiche del governo di Israele (Stato del popolo
ebraico del mondo), subiscano una propaganda martellante e non
prendano una posizione netta contro questa ultima aggressione, che
sta mostrando, ancora una volta, i suoi precisi piani genocidari, per
espellere una popolazione “in esubero” da una territorio molto
ambito per le sue risorse (di gas nelle acque davanti a Gaza) e non
solo. Perché lei parla subito di odio (antisemitismo)? Chi
veramente “fomenta sentimenti crescenti di odio”? Perché nella sua
narrazione lei ripete che le possibilità di integrazione
e convivenza sono sparite “a partire dalla guerra del giugno 1967”
e quindi dalla occupazione dei Territori palestinesi? Ci fu
qualche possibilità prima quando nel 1948 iniziò, come bene
analizza e descrive Ilan Pappé, la pulizia etnica dei palestinesi,
con massacri ed espulsioni e poi da allora con il regime militare
israeliano che ha discriminato e discrimina ancora i non ebrei?
Concludo rilevando la sua sottile presa di distanza dai palestinesi
“dei villaggi”, con i loro mercatini e i loro caffè al cardamomo,
forse detentori di memoria e esperienza, rispetto alle gallerie
d’arte e ai grattacieli, ai bei negozi di Tel Aviv, al suo dinamismo
e alla voglia di futuro. Ma chi ha distrutto il dinamismo e la voglia
di futuro dei palestinesi ributtandoli continuamente nell’età
delle macerie e trasformandoli in un popolo di mendicanti? Credo
che molti dei vari gruppi di solidarietà per la Palestina si stiano
ponendo le stesse domande.* Presidente dell’Associazione Ism-Italia
Cara Claudia Carminati,
Sono d’accordo con lei che l’appello di Claudio ai “fratelli ebrei” sul quotidiano Metro è mosso da senso di smarrimento e sconforto e che non c’è ombra di antisemitismo e non mi pare di avere scritto il contrario, non avrei scelto di interloquire con lui. Nella frase finale del mio articolo, non mi riferisco certo a Claudio ma a personaggi pubblici in cerca di visibilità che sfruttando l’ondata di giusta indignazione per l’operato di Israele, fomentano un sentimento di odio indiscriminato, facendo appunto di tutta l’erba un fascio.
La Lettera del lettore di Metro mi ha colpito perché davanti a quel che succede a Gaza, lui rivolge una domanda drammatica («I vostri cuori sono tanto induriti da non avvertire le carni dei martiri bruciare, ecc…») a tutti gli ebrei, mentre non tutti gli ebrei la pensano allo stesso modo, non tutti gli ebrei “non avvertono le carni bruciare” io e miei compagni le avvertiamo eccome! E penso di aver chiarito che noi della Rete Eco dal 2001 scriviamo articoli, appelli, facciamo manifestazioni contro l’occupazione Israeliana.
Non sono d’accordo quando lei dice che oggi i non ebrei sono tutti costretti a cadere nella trappola identitaria perché esistono gruppi che prendono posizione politica in quanto ebrei, anzi mi sembra addirittura assurdo. Il senso della nostra presa di posizione in quanto ebrei, è proprio che si sappia che non tutti gli ebrei la pensano allo stesso modo, proprio per evitare che Israele parli a nome di tutti gli ebrei. Se lei non mi permette di prendere posizione in quanto ebreo, allora vuole far cadere la gente nell’equivoco che tutti gli ebrei la pensano allo stesso modo.
La trappola identitaria è quella cosa per cui se sono ebreo devo difendere Israele, oppure se odio Israele allora odio tutti gli ebrei. È errato in entrambi i sensi, ma attenzione: chi ci cade è responsabile della propria caduta, non è corretto dire come fa lei che tutti gli occidentali non ebrei sono costretti a caderci. Allora se vale questo, vale anche dire che, siccome Claudio si rivolge a tutti gli ebrei, conseguentemente io sono costretto a cadere nella trappola identitaria e pensarla come Netaniahu.
Il motivo per cui ho citato il 1967 è perché da quel momento i Territori Palestinesi sono ufficialmente occupati e Israele da allora ha dimostrato davanti al mondo di non volerli restituire. Conosco la storia della Palestina, ho letto i libri di storia, i piani di espulsione, la storia della comunità palestinese di Jaffo e degli altri villaggi evacuati, mi spiace che senta il bisogno di spiegarmelo. Per finire lei vede nel mio testo una presa di distanza dai villaggi palestinesi per esaltare invece la voglia di futuro di Israele: questa sua interpretazione non fa i conti con quello che io ho scritto, che va proprio nel senso contrario.
Stefano Sarfati Nahmad
da il manifesto
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