#Water4Palestine, At-Tuwani la fame di terra e la sete dell'assedio


La prima tappa della delegazione del Servizio Civile Internazionale e del Forum italiano dell'acqua, accompagnata anche da DINAMOpress, in viaggio per le South Hebron Hills.

Muovendoci verso sud, a ridosso del deserto del Negev e al limite della West Bank, la vegetazione si fa più rada. Arbusti e boschetti lasciano il posto a sassi e cespugli, gli olivi si fanno sempre più bassi, come se fossero schiacciati da una gravità lunare, con i rami appesantiti da olive grandi e quasi mature (“è stata un'estate umida”, ci dicono).
A queste latitudini si impara presto a riconoscere la geografia striata dell'Occupazione, a destreggiarsi tra zona a, b e c. Distinguere le colonie, con le loro case geometricamente ammassate l'una all'altra, e gli avamposti con i loro prefabbricati bianchi circondati da reti e filo spinato. Strade di serie a serie b, deviazioni, blocchi, divieti, muri, torrette. La geografia umana e fisica dell'occupazione che disegna status giuridici diversi ogni pochi chilometri, se non quando centinaia di metri.
At-Tuwani è un villaggio palestinese di agricoltori e pastori. Trecentocinquanta famiglie assediate, come gli altri villaggi delle South Hebron Hills, dalle colonie di Ma'On, Carmel e Susya, illegali per le risoluzioni internazionali ma riconosciuti da Israele, e dagli avamposti illegali per la stessa legge isrealiana, ma più che tollerati dalle istituzioni.
La storia degli ultimi vent'anni del villaggio è indissolubilmente legata alla nascita e alle conquiste della resistenza non violenta e dei Comitati popolari.
Ad accoglierci Hafez, occhi nervosi in contrasto con una voce chiara e calma, coordinatore del comitato di At-Tuwani. Gli chiediamo subito di raccontarci della lotta per l'accesso alle risorse (non è in fondo per questo che siamo venuti?). Con una proverbiale calma araba ci mette a sedere “bisogna capire il contesto”, spiega paziente.
Fino agli anni '70, dopo lo shock della guerra del '67 questi remoti villaggi palestinesi avevano vissuto una situazione di relativa quiete. La fame di terra di Israele li metterà invece al centro di una trentennale storia di scontri con le autorità militari, politiche e giudiziarie, oltre che con il potere “di fatto” dei coloni.
Negli anni '80 decine di chilometri quadrati, contenenti 15 villaggi, vengono dichiarati zona di esercitazione militare, contrassegnata dal numero 918. Arrivano poi le prime colonie e con loro la strada 317, confine dietro al quale le autorità isrealiane dell'occupazione provano da vent'anni di ricacciare la popolazione palestinese. Nel 1999 poi una piccola Nakba: l'esercito decide di far diventare operativa la zona 918, i villaggi palestinesi vengono evacuati e decine di case abbattute, ad At-Tuwani si riversano centinaia di persone dai dintorni.
Assieme a un'ondata di violenza dei coloni nasce anche la resistenza popolare. Hafez racconta allora di come la resistenza da queste parti segna una vittoria: l'affermazione stessa di esistere da parte di questa comunità e di lottare con efficacia per i propri diritti. Ci si comincia ad organizzare per resistere agli espropri, le case abbattute vengono ricostruite con tenacia.
Con l'aiuto dell'opposizione isrealiana (“all'inizio abbiamo avuto tanti problemi con la popolazione, erano tutti diffidenti, per noi gli isrealiani erano solo coloni e soldati fino ad allora”) si organizzano le battaglie legali e le azioni dirette.
Prima si ottiene di poter rientrare nei villaggi evacuati, poi l'inserimento di At-Tuwani nel piano regolatore e con questo il diritto a rimanere, a resistere.
Lungo la strada 317 correvano 41 chilometri di muro che, alla tenacia dell'azione diretta della popolazione e degli attivisti isrealiani e internazionali, accompagnata dall'azione legale, Israele è stata costretta ad abbattere. La prima porzione del muro dell'apartheid è dichiarato illegale nel 2006.
A pochi chilometri da At-Tuwani il villaggio di Al Muffakara. Fuori dal piano regolatore a questa piccola comunità di pastori vengono abbattute regolarmente le case, di cui ancora si trovano le macerie a terra affianco alle case nuove tirate su alla meglio. Il lavoro dei comitati popolari è proprio quello di arrivare a tutelare tutti i villaggi delle South Hebron Hills.
Anche qua si scava la roccia per arrivare all'acqua, nuovi pozzi mentre l'acqua passa per i tubi di Mekorot, distribuita lungo le i confini i mobili dell'Occupazione.

*Articolo originariamente pubblicato su Dinamo Press.
Per info sulla campagna clicca qui


Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

Venti di guerra tra Israele e Iran. Ecco la nuova politica militare di Ahmadinejad

AMIRA HASS - UNA FONTE D'ACQUA, DUE MILIONI DI PERSONE: GAZA DEVE ESSERE LIBERATA DALLA SUA COSTRIZIONE

ATTACKS, TERRORIST ATTACKS AND EVEN CASTRATION – THE HIDDEN ACTIONS OF THE ISRAELI MILITIA – ISRAEL NEWS