Veterani dei servizi israeliani di spionaggio si rifiutano di servire nei territori palestinesi

 Unit8200

Peter Beaumont – 12 settembre 2014
Quarantatré veterani di una delle unità più segrete dello spionaggio militare israeliano – tra cui molti ancora attivi nella riserva – hanno firmato una lettera pubblica rifiutandosi di servire in operazione che coinvolgano i territori palestinesi occupati a causa della diffusa sorveglianza di residenti innocenti.
Tra i firmatari ci sono ufficiali, ex istruttori e sottufficiali di grado elevato dell’equivalente nazionale della NSA statunitense o del GCHQ britannico, noto come Unità 8200, o in ebraico Yehida Shmoneh-Matayim.
Affermano che le informazioni “onnicomprensive” che l’unità raccoglie sui palestinesi – in gran parte riguardanti persone innocenti – sono utilizzate a fini di “persecuzione politica” e per creare divisioni nella società palestinese.
La più vasta unità di spionaggio dell’esercito israeliano, l’Unità 8200 intercetta comunicazioni elettroniche che includono email, telefonate e media sociali oltre a prendere di mira traffico militare e diplomatico.
I firmatari affermano, tuttavia, che gran parte del loro lavoro non era collegato alla sicurezza o alla difesa israeliana ma appariva progettato per perpetuare l’occupazione “infiltrando” e “controllando” ogni aspetto della vita palestinese.
Scritta in un linguaggio senza compromessi la lettera afferma: “Noi, veterani dell’Unità 8200, soldati della riserva sia del passato che attualmente, dichiariamo di rifiutarci di prendere parte ad azioni contro i palestinesi e di rifiutarci di servire da strumenti di aggravamento del controllo militare nei Territori Occupati”.
Aggiungono: “La popolazione palestinese sotto regime militare è completamente esposta a spionaggio e sorveglianza dei servizi israeliani. Sono usate a fini di persecuzione politica e per creare divisioni all’interno della società palestinese reclutando collaboratori e dirigendo parti della società palestinese contro sé stessa. In molti casi le informazioni spionistiche impediscono agli imputati di ricevere un giusto processo nei tribunali militari, poiché le prove contro di loro non sono rivelate.”
Ad accompagnare la lettera – pubblicata dai media israeliani venerdì o organizzata diversi mesi prima della recente guerra contro Gaza – c’è una serie di testimonianze fornite dai firmatari al Yedioth Ahronoth e condivise con il Guardian.
Una rimostranza comune, formulata sia nelle testimonianze sia in interviste concesse da alcuni dei firmatari, anche al Guardian questa settimana, è che alcune delle attività che ai soldati è stato chiesto di eseguire avevano più in comune con i servizi spionistici di regimi oppressivi che con quelli di una democrazia.
Tra le accuse formulate nelle dichiarazioni vi è che:
- Una percentuale considerevole degli obiettivi palestinesi dell’unità è costituita da “persone innocenti, non collegate ad alcuna attività militare. Interessano l’unità per altri motivi, di solito senza avere la minima idea di essere bersagli di spionaggio”. Secondo le testimonianze tali bersagli non sono stati trattati in modo diverso dai terroristi.
- Il personale è stato istruito a conservare ogni dettaglio dannoso delle vite palestinesi in cui si imbattono, comprese informazioni sulle preferenze sessuali, infedeltà, problemi finanziari o malattie in famiglia che potrebbero essere “utilizzate per estorcere/ricattare la persona e trasformarla in collaboratore”.
- Ex membri affermano che alcune informazioni raccolte dall’unità non erano raccolte al servizio dello stato israeliano bensì nel perseguimento delle “agende” di singoli politici israeliani. In un incidente, su cui non sono stati forniti dettagli, un firmatario ricorda: “Riguardo a un progetto in particolare molti di noi sono rimasti sconvolti dall’esservi esposti. Chiaramente non era qualcosa che ci si aspetti da noi come soldati. Le informazioni erano trasferite quasi direttamente a protagonisti politici e non ad altre sezioni del sistema di sicurezza.”
- Membri dell’unità si scambiavano intercettazioni raccolte comprendenti “conversazioni sessuali” per il proprio divertimento.
La lettera è stata trasmessa al capo di stato maggiore delle forze armate israeliane e anche al capo dei servizi di spionaggio dell’esercito.
L’Unità 8200 è una delle più prestigiose nella considerazione del pubblico israeliano, con molti che vi lavorano che passano a posti di alto livello dopo il servizio militare, molti nel settore dell’alta tecnologia israeliana.
Secondo un articolo di Haaretz di quest’anno, ex membri dell’unità comprendono un giudice della corte suprema, il direttore generale del ministero delle finanze, un autore di successo internazionale, il dirigente capo di uno dei maggiori studi contabili di Israele e il capo degli scienziati del ministero dell’economia.
Gestendo una base di intercettazione di segnali, l’unità è anche in prima linea nel potenziale della guerra cibernetica di Israele. Secondo alcuni articoli – mai confermati – è stata coinvolta nello sviluppo del virus Stuxnet usato nell’attacco contro il programma nucleare iraniano.
La maggior parte di coloro che hanno firmato la lettera hanno servito nell’unità nell’ultimo decennio – sino a tre anni fa in servizio militare a tempo pieno – con la maggioranza ancora attiva nella lista della riserva, persone, cioè, che possono essere richiamate in qualsiasi momento.
Tutti quelli che hanno parlato con il Guardian hanno detto di essere stati “fortemente motivati” a unirsi all’unità e di essersi offerti volontari per proseguire la ferma oltre il servizio nazionale obbligatorio.
Anche se ci sono state in passato lettere di “refusenik” – le più famose più di un decennio fa, quando un gruppo di piloti della riserva si rifiutò di partecipare a omicidi mirati – tali denunce dettagliate dall’interno dei servizi segreti di Israele sono molto insolite.
Tre dei coinvolti, due sergenti e un capitano, che hanno concesso interviste al Guardian e a un pugno di altri media stranieri prima che la lettera fosse diffusa questa settimana si sono dati la pena di chiarire di non essere interessati a svelare segreti di stato. Avevano assunto un avvocato di elevato profilo per evitare di infrangere la legge israeliana, anche identificandosi pubblicamente. Copie della lettera inviata al comandante della loro unità, tuttavia, usano i loro nomi completi.
I coinvolti hanno dichiarato al Guardian di essere stati fieri di parte del lavoro che avevano fatto, che ritenevano avesse contribuito alla sicurezza di Israele.
Nelle loro interviste hanno descritto una cultura di impunità in cui i soldati erano attivamente scoraggiati, nelle lezioni di addestramento, a porre in dubbio la legalità degli ordini e di essere stati deliberatamente fuorviati dai comandanti a proposito delle circostanze di un caso in cui un membro della loro unità si era rifiutato di collaborare al bombardamento di un edificio in cui risiedevano civili in rappresaglia per un attacco in Israele.
Hanno aggiunto che in effetti “non c’erano regole” a disciplinare quali palestinesi potessero essere presi di mira e che il solo limite alla loro raccolta di informazioni nei territori occupati erano “le risorse”.
“Nello spionaggio – nello spionaggio israeliano riguardante i palestinesi – questi ultimi non hanno diritti”, ha detto Nadav, un sergente ventiseienne che oggi studia filosofia e letteratura a Tel Aviv. “Nessuno pone tale domanda. Non come nel caso di cittadini israeliani in cui, se si vogliono raccogliere informazioni, occorre ottenere il permesso di un tribunale”.
Ha detto: “La raccolta di informazioni sui palestinesi non è pulita. Quando si domina una popolazione che non ha diritti politici, le leggi che noi abbiamo, [allora] la natura di tale regime di dominio sulla gente, specialmente quando lo si esercita per molti anni, [è che] ti costringe ad assumere il controllo o a infiltrare ogni aspetto della sua vita”.
“D”, un capitano di ventinove anni che ha servito per nove anni, ha aggiunto: “[Tale] questione è uno dei messaggi che avvertiamo sia importante trasmettere maggiormente al pubblico israeliano.
C’è un malinteso molto comune riguardo allo spionaggio … quando ci siamo arruolati nell’esercito [pensavamo] che il nostro lavoro sarebbe consistito nel minimizzare la violenza, nel minimizzare la perdita di vite umane, e ciò rendeva molto più accettabile il lato morale della cosa”.
Ha aggiunto: “Quello che l’esercito fa nei territori occupati è dominare un altro popolo. Una delle cose che occorre fare è difendersi da esso, ma occorre anche opprimere la popolazione.
Occorre indebolire la politica. Occorre rafforzare e approfondire il controllo della società palestinese in modo che lo stato [israeliano] possa rimanere lì nel lungo termine. Non possiamo parlare dei dettagli … [ma] lo spionaggio è usato per esercitare pressione sulle persone per farle collaborare con Israele.”
E’ importante dire il motivo per cui mi sono rifiutato … è ho deciso di rifiutarmi ben prima della recente operazione [contro Gaza]. E’ stato quando mi sono reso conto che quello che stavo facendo era lo stesso lavoro che fanno i servizi di spionaggio di ogni regime non democratico.
Questa presa di coscienza mi ha fatto rendere personalmente conto di essere parte di questo vasto meccanismo che sta cercando di difendere o perpetuare la sua presenza nei territori occupati.”
L’ultimo grande episodio di ‘refusenik’ in Israele ad attirare l’attenzione del pubblico è stato nel 2002 quando piloti della riserva hanno pubblicato una lettera in cui si rifiutavano di pilotare sortite omicide su Gaza dopo che 14 civili, tra cui bambini, erano rimasti uccisi assieme a Salah Shehade, il leader della destra militare di Hamas, in un bombardamento.
Nadav ha fatto riferimento all’uccisione, e all’indignazione che la circondò. “Quando si guarda a quello che è successo quest’estate, quando è stato distrutto un edificio dopo l’altro e gli abitanti e centinaia di innocenti sono stati uccisi e nessuna ha fatto una piega, in confronto a solo un decennio fa quando l’uccisione della famiglia di un comandante di Hamas sconvolse la gente … Fece scalpore in Israele.”
Replicando alla lettera dei refusenik e alle denunce, un portavoce dell’esercito israeliano ha criticato i soldati per aver reso pubbliche le loro rimostranze e ha tentato di gettare dubbi sulle affermazioni.
“I corpi dei servizi di spionaggio non hanno alcuna evidenza che abbiano mai avuto luogo le specifiche violazioni denunciate nella lettera. Rivolgersi immediatamente alla stampa, anziché ai propri ufficiali o alle autorità competenti è sospetto e solleva dubbi sulla serietà delle affermazioni.
Quando alle dichiarazioni riguardanti i danni causati ai civili l’esercito israeliano segue una procedura rigorosa che tiene conto della presenza di civili prima di autorizzare attacchi contro bersagli.”
Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: http://www.theguardian.com/world/2014/sep/12/israeli-intelligence-reservists-refuse-serve-palestinian-territories
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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