Mondo arabo : bruciate quella bandiera

Bruciate quella bandiera

Le Monde (9/09/2014). Traduzione e sintesi di Carlotta Caldonazzo
Lanciata all’inizio di settembre da un gruppo di giovani libanesi e immediatamente rimbalzata nelle reti sociali del mondo arabo e non solo, l’iniziativa #BurnIsisFlagChallenge ha raccolto finora molti seguaci. Come per la doccia gelata la procedura è semplice: stampare una bandiera dello Stato islamico e filmarsi mentre si dà alle fiamme diffondendo poi il video su Youtube o Twitter e affini.
Il primo video è di tre giovani di Beirut, che ha creato con altri attivisti un apposito canale su Youtube per postare i video legati all’iniziativa, nata a seguito della decapitazione di uno dei soldati libanesi catturati dai cartelli del jihad a Ersal (città libanese vicina al confine con la Siria). Il successo nella terra dei cedri è stato immediato e in molti hanno risposto all’appello. Sulla bandiera stampata e bruciata dai tre, fatta a modello di quella dello Stato islamico (Isis), era scritto “il terrorismo non ha dio”, invece di “non c’è altro dio al di fuori di Allah”, ma è solo una delle varianti apposte. In un’altra ad esempio, sotto la bandiera stampata compariva la scritta “gli Usa hanno creato, finanziato, armato e allenato l’Isis”.
In disaccordo con spirito e modalità della protesta, il ministro della giustizia libanese Ashraf Rifi ha invitato la magistratura a indagare sui giovani promotori e aderenti, rischiando di infiammare il già precario palcoscenico della politica. Un deputato infatti ha immediatamente risposto proponendosi come avvocato difensore degli attivisti, ma Rifi ha considerato la vicenda da tutt’altra prospettiva. “Alcune persone hanno bruciato la bandiera dell’Isis a piazza Sassine (Beyrut NdT)” ha spiegato, “il loro simbolo dice ‘non c’è altro dio al di fuori di Allah e Mohamed è il profeta di Allah’, che è il pilastro fondante dell’islam”. Questo dunque il problema per il ministro: i giovani stanno bruciando un simbolo che richiama l’islam come religione e originariamente non ha nulla a che spartire con il terrorismo. Per questo, sempre secondo Rifi, vale la pena di aprire un’inchiesta, magari per oltraggio alla religione e ai suoi simboli, o per istigazione all’odio confessionale. Anche se sono stati gli stessi promotori a precisare e chiedere di ripetere in ogni video legato alla manifestazione che “lo stato islamico non è l’islam e non rappresenta né l’islam né i musulmani”.
A far riflettere tuttavia è il metodo di sensibilizzazione dell’era delle reti sociali, un meccanismo già emerso con le docce gelate a proposito della Sla. Ma gli sgherri del jihad non sono malati né portatori sani né untori di una malattia degenerativa, salvo facili ironie. Sono un’entità che ha dimostrato preparazione militare e determinazione ideologico-religiosa e soprattutto si sono inseriti e hanno trovato terreno fertile in un quadro di devastazione politica e materiale innescate da precedenti interventi internazionali. Basti pensare che molti dei loro attivisti vengono dai Balcani, altra realtà annientata da interventi esterni (prima indiretti, soprattutto da parte di Vaticano e Germania, poi assai più invasivi, come le operazioni Nato del 1999), ma anche da diversi paesi occidentali. L’Isis inoltre ha ricevuto sostegno indiretto dalle petromonarchie del Golfo, Qatar e Arabia Saudita in testa (che a suo tempo non si era fatta scrupoli a finanziare l’integralismo islamico in Yemen per indebolire le forze laiche e socialiste).
Sensibilizzare richiederebbe forse un po’ più di analisi e volontà di approfondimento. O almeno ragionevolezza. La ragione? Ma ogni setta pretende di avere la ragione dalla propria parte. Sarà dunque la forza a decidere, nell’attesa che la ragione penetri in un numero abbastanza grande di teste da poter disarmare la forza.
Link all’originale

http://arabpress.eu/bruciate-quella-bandiera/

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