La fine (e l’illusione) della modernità ebraica. Un libro essenziale


La fine (e l’illusione) della modernità ebraica. Un libro essenziale

Dal rivoluzionario Lev Trockij al ministro Louis-Lucien Klotz. Da Rosa Maria Luxembourg ad Hannah Arendt. Da Henry Kissinger ad Edward Said. Enzo Traverso analizza la metamorfosi che in poco meno di un secolo ha portato gli ebrei, con un rovesciamento paradossale, nelle stanze del potere.


Raccontare la storia per immagini è un’impresa non facile, soprattutto se il periodo in questione è il XIX e il XX secolo. La Restaurazione, la conquista dell’Africa, due Guerre mondiali, milioni di morti, minoranze perseguitate e sterminate, Imperi dissolti e nuovi Stati e nazioni nati dalle loro macerie.
Troppi fatti, dinamiche e tematiche da considerare.
Ma se il campo di indagine si restringe ad una singola questione, seppur complessa, le immagini possono aiutare. Per lo meno a spiegare il “prima” e il “dopo”.
A parlare di questo delicato passaggio ci pensa l’analisi storica di Enzo Traverso nel saggio La fine della modernità ebraica (Feltrinelli, 2013). 
Sviluppato tra i Lumi e la Seconda Guerra Mondiale, tra il periodo dell’Emancipazione e il genocidio nazista, il pensiero ebraico moderno ha profondamente segnato il mondo intellettuale, letterario, scientifico e artistico dell’Europa. Ma oggi – un oggi “lungo”, che abbraccia gli ultimi 30 anni - la sua traiettoria si è esaurita.
L’analisi dello storico italiano da anni attivo in Francia ripercorre questo percorso che ha reso coloro che un tempo erano “fonte del pensiero critico del mondo occidentale”, gli ebrei, a ritrovarsi quasi improvvisamente dalla parte del dominio. 
Le prime due diapositive, che Traverso evoca nell’introduzione, contribuiscono a dare il senso  di questo passaggio. La prima risale al 1919, siamo alla Conferenza di Versailles: è il volto del Primo ministro britannico Lloyd George che, “in un accesso di collera improvvisa e incontrollata, si sporge in avanti e con un gesto delle mani imita uno spregevole ebreo che stringe una borsa piena di soldi”.
L’ebreo in questione è Louis-Lucien Klotz, ministro delle Finanze del governo francese, accusato di essere uno “scellerato e pericoloso rivoluzionario con le sue idee socialiste”. Il periodo di riferimento è corrispondente all’ondata di antisemitismo in voga già da una ventina di anni e che caratterizzerà prima la Rivoluzione Russa per poi travolgere l’intera Europa negli anni a venire.
Con un balzo di oltre 50 anni restiamo a Parigi. E’ il 27 settembre 1973 e rappresentanti di Stati Uniti e Repubblica Democratica del Vietnam firmano un accordo di pace nel corso di un’altra celebre conferenza. Il plenipotenziario statunitense è Henry Kissinger, ebreo tedesco emigrato in America a 15 anni per sfuggire alle persecuzioni naziste. In questa circostanza i ruoli sono totalmente mutati: l’ebreo Kissinger non rappresenta più la rivoluzione, bensì la controrivoluzione.
In una simile comparazione non sono rare le immagini che accostano le tragedie di Auschwitz ai massacri di Gaza, la cui diffusione è ancor più facilitata oggi dai social media.
E’ la fotografia di un rovesciamento di situazioni e condizioni che ha portato una cultura tradizionalmente anticonformista, meticcia e critica (Traverso ricorda come il pensiero di teorici e filosofi del calibro di Marx, Trockij, Luxembourg e Kafka, per citarne alcuni, sia profondamente influenzato da questa tradizione) a far parte “del sistema di valori che storicamente sono stati ostili agli ebrei, e all’origine dell’anti-semitismo”. 
Quel sistema di valori legati all’identità e al territorio alla base del pensiero dominante degli Stati-nazione che, in pieno periodo di “vitalità” proprio dell’anti-semitismo, si facevano strada in Europa e nell’America del Nord.
A legare questi due mondi, accorre il ruolo determinante di un’altra ideologia - quella sionista - e la sua messa in pratica – Israele -, che ha fatto di quest’ultimo e dei suoi interpreti politici, intellettuali e industriali “la sentinella e l’avanguardia dell’imperialismo americano il quale, a sua volta, ne garantisce la difesa”.
Un passaggio traumatico, soprattutto per chi ha lottato contro il “doverne far parte per forza”, come Hannah Arendt, la quale a Shoah in corso, era pur a favore di un “esercito ebraico che si sostituisse alla necessità di difesa esterna”, sulla scia della rivolta del Ghetto di Varsavia.
Traumatico, certamente, ma che non è stato del tutto improvviso.
Traverso riporta alla luce aneddoti e fatti che sottolineano come tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, in Europa, “gli ebrei erano ancora largamente orientati a sinistra”. In Francia, ad esempio, in quel periodo i media avevano fatto un cliché dell’identificazione dell’estrema sinistra con la gioventù ebraica, ironizzando sulle ragioni che avrebbero impedito alla Lega Comunista rivoluzionaria di tenere in yiddish le riunioni della sua direzione (tra queste la presenza di Daniel Bensaid, ebreo di origine sefardita).
La fine della modernità ebraica non è, tuttavia, soltanto la storia di questo passaggio. Questo libro, in modo lucido, chiaro ed essenziale, dimostra come, dopo il genocidio e la nascita di Israele, nonché l’inizio di una nuova era di imperialismi, la storia non abbia messo fine al razzismo. 
All’odio per gli ebrei si è sostituita una nuova forma di “cultura, identità parìa” - quella musulmana - che ha lasciato ampio spazio all’islamofobia. Nel frattempo, possibilità di pensieri anti-conformisti e alternativi alla “religione civile della democrazia e dei diritti umani”, di cui la memoria dell’Olocausto rappresenta il metro di giudizio per le virtù morali dell’Occidente, provengono unicamente da un punto esterno alla tradizione europea.
Di conseguenza, è inevitabile per Traverso concludere con Edward Said, che nella sua ultima opera – Humanism and Democratic Criticism – tentava di salvare il salvabile dell’Umanesimo, di cui il pensiero ebraico è stato parte integrante, tramite un suo “rinnovamento critico”.
“E’ il senso del paradosso che lo conduceva [Said, ndr], in un’intervista al quotidiano Haaretz, a presentarsi come l’ultimo intellettuale ebreo.”

07 Settembre 2014
di: 
Stefano Nanni

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