Naomi Wolf : «'Tocca a noi ebrei all'estero schierarsi'»

  
Corriere della Sera
   di Alessandra Farkas

NEW YORK — «Gaza assomiglia sempre di più al ghetto di Varsavia. Non credo di esagerare nel disegnare quest’analogia davanti a civili intrappolati in una situazione ove la vita umana è stata deliberatamente resa impossibile». Naomi Wolf, ebrea, attivista, consulente politica dell’amministrazione Clinton ed autrice di bestseller quali «The End of America» e «Give me Liberty» chiama da Firenze, dove si trova in visita col figlio, per esprimere la propria indignazione di fronte a una guerra che sta dividendo gli ebrei americani. «Israele corre il rischio di ritrovarsi completamente sola — spiega — e questo è il motivo per cui ogni ebreo ha il dovere morale di prendere posizione. Criticare il proprio popolo quando abbandona la retta via è una forma di lealtà e patriottismo. L’opinione degli ebrei Usa conta enormemente».
Nell’ultimo sondaggio Cnn il 57% degli Americani fa il tifo per Israele.
«I media Usa si limitano a riportare acriticamente le tesi dell’esercito israeliano come quella secondo cui Hamas userebbe i civili come scudi umani. È irresponsabile scrivere ciò in mancanza di prove concrete. Gaza è densamente popolata ed è ovvio che ovunque si trovi, Hamas sia circondata da civili. Anche in questa guerra, la verità viene dai social media».
Ne è proprio convinta?
«Sono stati i siti di citizen news come “DailyCloudt”, da me ideato nel 2012, a fornirci reportage imparziali minuto per minuto. Così abbiamo appreso dei blackout di luce e gas o del fatto che a Gaza solo uno dei due genitori esce di casa per cercare acqua o cibo perché, nel caso venisse ucciso, un adulto resta coi figli».
Ieri sul «New Yorker» il direttore David Remnick se l’è presa con la destra israeliana che secondo lui avrebbe monopolizzato la cultura del Paese.
«Ha ragione. Sono allibita dal crescendo di esortazioni al genocidio tipo “spazziamoli via” che esce da rabbini, politici e civili. C’è un sacco di odio da entrambe le parti ma per Israele si tratta di un fenomeno nuovo che la storia ha insegnato essere molto pericoloso».
Nei sondaggi la stragrande maggioranza degli israeliani appoggia questa guerra che considera di autodifesa.
«Gli israeliani sono quotidianamente bombardati dalla propaganda estremista che propina loro scenari terrificanti e non verificati orchestrati da Hamas. Proprio come successe a noi americani quando ci paventarono l’Armageddon se non avessimo passato il Patriot Act e invaso l’Iraq. Anche noi eravamo tutti uniti, sbagliando perché imboccati con bugie. Quando dopo anni di terrore ci siamo risvegliati e i giornalisti hanno finalmente cominciato a fare il loro lavoro, era troppo tardi».
I razzi e i tunnel sotterranei di Hamas non sono una bugia.
«L’entità e la minaccia rappresentate dal “sofisticato network di 110 tunnel del terrore” di cui parla l’esercito israeliano non sono state confermate da alcun riscontro giornalistico indipendente. Legare il proseguimento della guerra ai tunnel è una violazione della legge internazionale visto che un Paese come l’Egitto distrugge i tunnel senza violenza o perdita di vite».
San Tommaso d’Aquino diceva che perché una guerra sia giusta, sono necessarie una giusta causa e una giusta intenzione. Chi è nel giusto in questa guerra?
«Non spetta a me trarre tale conclusione. L’unica cosa che conta adesso è la sofferenza umana. Mentre parliamo esiste una crisi umanitaria senza precedenti provocata da Israele. Giornalisti e medici sono bombardati mentre riportano le notizie e curano i feriti. Gli incubatori sono senza corrente, i nebulizzatori per l’asma non funzionano. Si opera a lume di candela. Senza parlare delle epidemie che stanno per abbattersi a causa della mancanza di igiene».
Secondo il rabbino Brant Rosen della Jewish Voice for Peace, Israele dovrebbe negoziare con Hamas come fece con l’Olp prima di Oslo.
«Hamas e Israele farebbero meglio a seguire la via diplomatica invece di sparare ai civili. Sedere attorno ad un tavolo e trattare è meglio in ogni relazione, personale e politica. Ma se si pongono precondizioni prima di parlare coi nostri parenti e vicini — come sono israeliani e palestinesi — nessun rapporto o famiglia alla fine ne uscirà vivo».

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