Il parroco di Gaza: «Le bombe non fanno distinzione»

 

Che nel passato di padre Jorge Hernández ci sia il rugby, non è difficile capirlo. L’imponenza fisica e il collo taurino lo dimostrano chiaramente. E come quando, nel ruolo di pilone, faceva parte della prima linea sul campo da gioco, così, oggi, interpreta il suo ruolo di parroco della comunità cristiana di Gaza.

Mentre ci accomodiamo nel piccolo patio che dà sul cortile della parrocchia della Sacra Famiglia, l’offensiva di terra israeliana continua a procedere e le deflagrazioni provocate dai mezzi pesanti dell’esercito israeliano, sono solo a un paio di chilometri di distanza. «Le bombe non fanno distinzione tra cristiani e musulmani», dichiara lapidario, «questa – aggiunge – è una guerra assurda, non ha niente a che vedere con il conflitto israelo-palestinese: Hamas e Israele approfittano della situazione e intanto la gente continua a morire».

Le preoccupazioni di padre Jorge per la comunità cristiana di Gaza (1.300 fedeli di cui 136 cattolici), non si limitano solo all’escalation militare in corso, ma sono il frutto dell’aumento dell’intolleranza religiosa delle fazioni islamiche più estreme. «Qui i cristiani sono doppiamente sotto pressione: prima come palestinesi, da parte israeliana, poi per le possibili ritorsioni derivanti dal conflitto, com’è accaduto recentemente in Siria».

Il parroco rivela che all’inizio dell’anno scolastico, gruppi di estremisti hanno tentato di appiccare il fuoco ad una delle scuole gestite dalla parrocchia di cui Jorge è il direttore. «Dopo il fatto, abbiamo ricevuto la visita dei leader di Hamas e della Jihad islamica, che ci hanno tenuto a farmi personalmente le scuse». Le relazioni con il governo di Hamas sono ufficialmente buone e i suoi rappresentanti hanno speso parole di rispetto per i “nazareni” – così li chiama Hamas – della Striscia. Ma è la guerra in corso, o meglio le conseguenze di questa, che fanno passare notti insonni al sacerdote. Giovedì scorso, un missile israeliano ha colpito una casa proprio di fronte alla parrocchia, nel cuore della città vecchia di Gaza City. «L’esplosione è stata tremenda – racconta – i vetri del refettorio e della scuola, sono andati in frantumi, per fortuna non ci sono state vittime».

Se gli si chiede se teme per la sua vita, nel bel mezzo di un conflitto che ha già provocato la morte di più di trecento palestinesi, decine dei quali bambini, il padre non ha dubbi: «Non posso andarmene, come dice la Bibbia, il pastore muore con il suo gregge». In questi giorni di guerra, la parrocchia ha ospitato diverse famiglie scappate dai raid dell’aviazione israeliana e cerca di perdersi cura delle persone più povere. «Come giustifico il mio coraggio – si chiede, ripetendo ad alta voce la domanda appena posta –? Quando Gesù ti chiede una missione, ti da anche i mezzi e la forza per portarla avanti».

Per tenere uniti i fedeli, in mezzo alle violenze del conflitto, il sacerdote non esita ad impiegare, oltre alla preghiera, anche mezzi laici. Come i Social Network. «Grazie alla pagina Facebook della parrocchia e ad altri Social Network – racconta padre Jorge –, riusciamo, anche solo virtualmente, a sentirci vicini e ad aiutarci l’un con l’altro: a volte basta una parola di conforto o un sms per darci forza».

Ed è stato proprio grazie ai Social Network, che il messaggio di papa Francesco è arrivato alla comunità cristiana di Gaza. «Appena ho ricevuto l’e mail del Santo Padre – racconta visibilmente emozionato – l’ho tradotto in arabo e postato sulla nostra pagina Facebook. Papa Francesco ci ha dato una forza incredibile: grazie a lui non ci sentiamo più soli».

Padre Jorge si deve congedare per la Messa di mezzogiorno. Mentre attraversa il cortile della parrocchia, due enormi esplosioni riempiono l’aria di Gaza City. Lui non si scompone, saluta con la mano ed entra dritto in chiesa.

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