Giorgio Bernardelli :«Noi cristiani di Gaza sotto le bombe»

 Gaza sotto le bombe

 

Il racconto del parroco della Sacra Famiglia, padre Jorge Hernandez. Tre missili sono caduti vicino alla chiesa, dove anche le suore di Madre Teresa si sono trasferite con i loro ragazzi disabili

Giorgio Bernardelli
«Anche noi abbiamo ricevuto l’invito - lanciato ai residenti nelle zone di Beit Hanoun e di Beit Lahia - a lasciare immediatamente le case. E come tutti ci chiediamo: dove andare? Gaza è piccola. Tutto è vicino. Non c’è un luogo sicuro, neutro, che possa accoglierci. Dove andare?».

Dalla parrocchia latina della Sacra Famiglia a Gaza racconta così le giornate della sua comunità padre Jorge Hernandez, religioso della famiglia religiosa del Verbo Incarnato. C’è anche lui sotto le bombe che piovono dal cielo sulla striscia e non è la prima volta per questo prete argentino da alcuni anni alla guida della piccola comunità cattolica della Striscia, appena 200 fedeli in un territorio dove i cristiani in tutto sono meno di 2000. Da anni condividono tutte le sofferenze della popolazione civile, isolata ermeticamente in un territorio di appena 360 chilometri quadrati popolato da quasi 1,8 milioni di persone.

Mercoledì - proprio nel pomeriggio in cui quattro bambini sono morti falciati da un missile israeliano sulla spiaggia - anche alla chiesa della Sacra Famiglia ci sono stati momenti di grande paura: tre missili sono caduti molto vicino ai locali della parrocchia; così ieri si è deciso di far rientrare a Betlemme le tre suore della stessa congregazione che collaborano con padre Jorge. Essendo straniere loro hanno potuto lasciare la Striscia durante il breve cessate il fuoco umanitario ottenuto dall’Onu. Il parroco però resta; e insieme a lui ora in parrocchia ci sono anche le suore di Madre Teresa, che si sono trasferite lì con i disabili che assistono a Gaza. Anche il loro istituto si trova in una zona colpita dai raid e hanno pensato che la chiesa della Sacra Famiglia fosse un luogo più sicuro.

In questi giorni caldissimi padre Jorge mantiene i contatti con l’esterno attraverso alcune lettere che vengono pubblicate sulla pagina Facebook dall’Istituto del Verbo Incarnato.  Ne emerge il racconto della vita quotidiana di una parrocchia sotto le bombe. «Stavo preparando la predica per la Messa - scriveva domenica - e mi chiedevo: che cosa posso dire a questa gente? Come confortarla? Quale buona parola metterci? Com’è difficile. E poi: la gente verrà? Oggi, grazie a Dio, ho potuto celebrare la Messa domenicale alla presenza di sette suore e quattro uomini coraggiosi. C’è di che rallegrarsi date le circostanze».

«Una famiglia cristiana - racconta in un'altra lettera - è stata coinvolta quando hanno bombardato la casa vicina alla loro. Vetri rotti, fumo, urla, confusione è stata la tragica scena che hanno vissuto. E c’è anche da considerare che i bambini più piccoli stanno cominciando ad ammalarsi per la paura, lo stress, l’onda d’urto delle detonazioni, il rumore continuo. I loro genitori davvero fanno di tutto per distrarli e far sì che questa violenza così cruda non li traumatizzi: ogni volta che si sente un “rumore” giocano a saltare, ballano o anche solo li abbracciano cercando di tappare loro le orecchie».

Sul clima generale a Gaza padre Jorge scrive che questa guerra non era certo imprevedibile. «La gente si aspettava ormai da tempo un escalation militare - spiega - e potrebbe durare anche a lungo. L’unica cosa che ci ha sorpreso è stato registrare una resistenza su più larga scala e una migliore preparazione da parte delle autorità locali rispetto alle guerre precedenti. Che Hamas abbia colpito Tel Aviv e Gerusalemme non è cosa di poco conto». Aggiunge anche di temere che la guerra porti con sé nella Striscia una reazione islamista contro i cristiani: «Visto quanto successo altrove, non ci sarebbe da stupirsene», commenta. Anche per questo  aggiunge - è ammirevole la forza dei cristiani di Gaza, che ormai sanno bene di essere solo nelle mani di Dio.

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