Se Israele fosse in Arabia

 

Esposta alla British Library di Londra una lettera del 1917, indirizzata all’ambasciatore britannico a Parigi, in cui il dottor M.L. Rothstein chiede la creazione di un focolare ebraico nella penisola arabica. Due mesi prima della dichiarazione Balfour
Lord Arthur James Balfour (Foto: agence Rol)

Lord Arthur James Balfour (Foto: agence Rol)

dalla redazione

Roma, 7 aprile 2014, Nena News – Uno stato ebraico nella penisola arabica. Un’oasi nel deserto orientale di quella che oggi è l’Arabia Saudita come patria per un “popolo senza patria”, da conquistare con l’aiuto dei soldati britannici. E’ il contenuto di una lettera, firmata da un medico russo di origine ebraica residente a Parigi, M.L. Rothstein, e indirizzata a Lord Francis Bertie, ambasciatore britannico in Francia, ora esposta alla British Library di Londra.

La missiva data del 12 settembre 1917, quasi due mesi prima della pubblicazione della dichiarazione Balfour, che incoraggiava la creazione di un “focolare ebraico” in Palestina. Il dottor Rothstein vi richiede l’assistenza del governo britannico per conquistare al-Hasa, un’oasi nel deserto orientale della penisola arabica allora sotto il controllo ottomano. Il piano era già nero su bianco: Rothstein assicurava a Bertie di riuscire ad assemblare una forza di circa 120 mila uomini nei successivi sei mesi, che avrebbero raggiunto le forze britanniche già presenti nell’area.

Stando a quanto si legge nella lettera, 30 mila uomini avrebbero conquistato il Bahrein per poi attaccare la provincia ottomana di al-Hasa: i turchi avrebbero reagito, ma alla fine “le forze ebraiche avrebbero riportato la vittoria”. La proposta, come dice Rothstein stesso, poteva sembrare all’apparenza “illogica” non solo per l’infattibilità dell’impresa: il dottore non aveva calcolato che quelle terre non appartenevano più al moribondo Impero ottomano, ma da qualche anno erano state conquistate da Abdelaziz Ibn Sa’ud, fondatore di quello che nel 1932 sarebbe ufficialmente diventato il Regno di Arabia Saudita.

Stando a quanto ricostruito, la lettera di Rothstein fu inviata anche a Lord Arthur James Balfour, ministro degli Esteri di Londra, che rigettò la proposta il 3 ottobre dello stesso anno. Nell’aria c’era già la famosa dichiarazione, che consegnava de facto la Palestina nelle mani del movimento sionista. Ufficialmente non per interesse politico, come si affannarono a dire i britannici all’epoca, ma come forma di ricompensa per il dottor Chaim Weizmann che era riuscito a estrarre l’acetone dal granturco per la fabbricazione della cordite, assicurando la piena produzione di esplosivi alla corona Britannica. Come si legge nelle memorie dell’allora primo ministro Lloyd George,  Weizmann, alla richiesta di un compenso, chiese “una casa per il mio popolo”.

Eppure, già due generazioni di ebrei d’Europa erano arrivate in Palestina grazie alle aliyah (ondate organizzate di colonizzazione ebraica); l’organizzazione sionista aveva già acquistato migliaia di ettari di terra e le prime moshav erano state stabilite da tempo. Nel frattempo, però, le varie costole del movimento sionista cercavano terre alternative: la fertile Argentina, le disabitate lande di Ecuador, Suriname o Australia, la lussureggiante Uganda. Persino nell’ostile Russia, dove erano riusciti a ritagliarsi un Oblast alle estremità orientali dell’Impero che dura fino ai giorni nostri. Insomma, la Palestina non era solo la ricompensa del clinico Weizmann. Nena News.

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