QUANDO I PALESTINESI INSEGNANO LA NONVIOLENZA

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    At Tuwani è un villaggio di quattrocento anime sulle colline a sud di Hebron, nel profondo sud della Cisgiordania. Questo paesino con i suoi abitanti dal carattere testardo è la porta d’accesso all’area denominata Masafer Yatta (la circoscrizione di Yatta): 15 villaggi, 1400 persone in tutto, la metà delle quali minorenni. La regione si estende fino al deserto (il Negev o Naqab). La particolarità di tutta questa zona non sono certo i paesaggi mozzafiato, bensì l’assenza del muro. E non è che se lo sono dimenticato. Il muro non c’è perché nei piani non troppo velati del governo israeliano potrebbe esser costruito un po’ più a nord, inglobando l’area di Masafer Yatta. Il vero ostacolo? Gli abitanti, appunto.

    Il villaggio di At Tuwani si trova in piena area C, sotto controllo civile e militare israeliano. Qui l’Autorità Palestinese non ha alcun potere e le colonie proliferano contro ogni convenzione internazionale. Secondo l’OCHA (Office for Civilian and Humanitarian Affairs), un’agenzia dell’ONU, sono circa 350 mila i coloni israeliani che vivono in Cisgiordania (Gerusalemme Est e Alture del Golan escluse). Nell’area di Masafer Yatta la colonizzazione è cominciata nel 1982 e da allora si è notevolmente intensificata. Esistono qui due tipi di insediamento: le colonie vere e proprie, dichiarate illegali dalla Quarta Convenzione di Ginevra nonché da innumerevoli risoluzioni dell’ONU, ma legali secondo il diritto israeliano e incoraggiate dallo stato ebraico; e gli avamposti, illegali per la stessa legge israeliana. Negli avamposti, embrioni di future città, vivono generalmente i coloni più estremisti, mossi dall’ideologia nazional-religiosa della riconquista delle terre di Giudea e Samaria. Non è raro che tirino fuori una Bibbia se si chiede loro un atto di proprietà della terra. Il fatto di istallarsi nei Territori Occupati non comporta per questa gente nessun vantaggio economico, com’è il caso, invece, per gli abitanti delle colonie ordinarie. Anzi, spesso gli abitanti degli avamposti vivono peggio dei Palestinesi dei villaggi vicini: in container, senza vere case, senza acqua, senza una rete elettrica, con la pastorizia come unica risorsa economica.

    At Tuwani si trova in una delle zone più povere e marginalizzate della Cisgiordania, vicinissmo ad una colonia e ad un avamposto. E’ un villaggio di pastori e contadini che quindici anni fa si sono organizzati per reagire all’occupazione israeliana. La loro è una lotta quotidiana ai soprusi, contro gli abusi, gli stenti. “It’s an ongoing struggle”, come direbbe H., presidente del Comitato popolare delle colline a sud di Hebron e abitante di Tuwani: è una continua lotta.

    Un tempo nel villaggio vivevano circa seicento persone. Tra il 1997 e il 1999 il governo israeliano ordina l’evacuazione dell’intera area e la deportazione di tutti i suoi abitanti a sud della ByPass Road 317 (la strada ad uso esclusivo degli Israeliani che segna il confine tra area C e area A). Non ha fatto però i conti con la ferma opposizione degli abitanti di At Tuwani che, dopo sei mesi di duro lavoro con associazioni israelo-palestinesi come Yesh Din, i Ta’ayyush, i Rabbini per i diritti umani, o ancora Bet’Selem, riescono ad ottenere uno storico risultato in tribunale: nel 1999 l’Alta Corte Israeliana proclama il diritto di queste persone a vivere nell’area. Viene riconosciuto il diritto alla proprietà delle terre (molte famiglie hanno atti di proprietà che risalgono all’Impero ottomano) e la natura sedentaria della vita nella zona.

    Non tutti sono tornati, i villaggi non si sono mai ripopolati come prima. La gente aveva paura. Z. mi ha raccontato di quando l’hanno cacciata da casa sua: in piena notte, con le bombe sonore, le armi, le jeep. Le hanno ucciso un fratello sedicenne. Morto martire, come si dice da queste parti. Molte famiglie contano almeno un “martire”, morto sotto il fuoco israeliano.
    Forse la logica è quella, come si dice dalle nostre parti, del meglio pochi ma buoni. Coloro che sono tornati hanno fatto passi da gigante. Certi coloni girano con l’M16 a tracolla e lanciano pietre? Gli abitanti di Tuwani hanno deciso di provare un’altra strada: hanno smesso di rispondere alle pietre con le pietre. Le autorità israeliane non danno i permessi per costruire la scuola? Gli abitanti di Tuwani se la sono costruita di notte. Di giorno ci lavoravano solo le donne, ché le leve israeliane (tutti giovani tra i diciotto e i ventun anni) ci pensano due volte prima di aggredire fisicamente una donna.

    Di notte lavorano gli uomini. Il pozzo dello sheykh, il “saggio” del villaggio, era stato distrutto dai soldati e lo sheykh arrestato. Ebbene, durante la notte abitanti da tutti i villaggi della zona sono venuti a ricostruirlo e quando il Saggio è uscito di prigione ed è tornato a casa il suo pozzo era lì ad aspettarlo.

    Tante storie, mille voci. Ancor più incredibili se si pensa che sono le storie di contadini, pastori, gente semplice. Le donne non lavorano, sono in gran parte analfabete. Il direttore della scuola è forse l’unica persona a leggere il giornale nel villaggio.
    Eppure queste persone hanno fatto come Gandhi, Martin Luther King, Mandela. Sono partiti da una considerazione pratica: la violenza quotidiana e le ingiustizie sono dolorose ma rispondere con pari violenza e ingiustizia è stupido e inutile, anche se da un certo punto di vista forse legittimo. Molti di loro si considerano legittimati a rispondere alla violenza con la violenza, avendone viste davvero di tutti i colori.

    Dall’inizio degli anni ’80 (costruzione della colonia di Ma’on) e ancor più dal 2000 in poi (quando è stato fondato l’avamposto illegale di Havat Ma’on, a soli cento metri dal villaggio) è un susseguirsi di sofferenze: pozzi avvelenati, bestie uccise, ulivi tagliati, bambini attaccati lungo la strada per andare a scuola. O semplicemente ciliegi (ciliegi!) coltivati nel campo della colonia più visibile dal villaggio, quando nel villaggio l’acqua è un bene prezioso. Così, senza saper nemmeno chi fossero Gandhi, Martin Luther King e Nelson Mandela, gli abitanti di Tuwani hanno scelto la nonviolenza. Un lungo cammino su un sentiero infinito. Hanno fondato il primo Comitato di resistenza popolare nonviolenta della Cisgiordania.

    Ne esistono molti altri, nella valle del Giordano, nel campo profughi di Al-Masara, e non smettono di crescere. Oggi hanno un coordinamento, una strategia comune, un’idea chiara in testa: fosse anche solo in termini pratici, la nonviolenza paga molto, ma molto più della violenza. Attraverso training organizzati e gestiti dagli uomini e dalle donne di Tuwani, tutti i villaggi dell’area sono stati coinvolti in questo grande progetto. H., presidente del Comitato di At Tuwani, non si stanca mai di raccontare la storia del suo villaggio. E’ un uomo fiero e sorridente. La sua filosofia di vita è la speranza: dice che il giorno in cui i suoi compatrioti perderanno la speranza, l’occupazione avrà già vinto. Lui di Gandhi, Martin Luther King e Mandela non sapeva proprio niente. Quando poi ha scoperto che cosa avevano fatto i grandi leader della nonviolenza nel mondo si è detto, stupito, che lui e tutti gli abitanti di At Tuwani avevano fatto, senza saperlo, le stesse cose.

    Oggi At Tuwani è l’unico villaggio dell’area ad avere l’acqua corrente, pagata, ovviamente, alla colonia. Esiste una rete elettrica dal 2010, grazie al faticoso collegamento alla rete di Yatta, inizialmente ostacolato dalle autorità israeliane. A Tuwani oggi c’è una moschea, dove ogni venerdì arrivano, sui loro asini o a piedi, gli uomini degli altri villaggi. A Tuwani c’è venuto Tony Blair, il Primo Ministro dell’Autorità Palestinese (di Fatah), ci sono venuti pure i Grillini lo scorso luglio, durante un “viaggio di conoscenza” in Cisgiordania. La gente ci viene e ascolta la storia che questo villaggio ha da raccontare. Impossibile metterci un simbolo : il Comitato si vuole indipendente, auto-organizzato, auto-gestito.

    L’esperienza di At Tuwani e degli altri villaggi membri del Comitato restituisce ai Palestinesi un senso di dignità. Non si tratta più di povere vittime o di pericolosi terroristi: queste persone fanno resistenza. Ma non vogliono veder le colonie e gli avamposti svanire nel nulla, vogliono poter vivere in pace coi coloni. Tanti, negli ultimi trent’anni, sono nati nelle colonie. Gli abitanti di At Tuwani vogliono solo che questi figli, come i loro figli, possano, finalmente, crescere in pace.

    una volontaria di Operazione Colomba





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