Opinioni contrastanti di realtà politica: Chomsky in contrapposizione con Dershowitz


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Di Richard Falk
3 dicembre 2013

Il mio amico ed ex collaboratore, Howard Friel, ha scritto un libro stuzzicante facendo il confronto tra le visioni del mondo e gli stili polemici di due intellettuali americani ebrei di reputazione mondiale, cioè Noam Chomsky e Alan Dershowitz (Friel, Chomsky and Derrshowitz: On Endless War and the End of Civil Liberties, Olive Branch Press, 2014). [Chomsky and Dershowitz: la guerra senza fine e la fine delle libertà civili]. Il libro è molto di più di un paragone tra due voci influenti, l’una critica,  e l’altra apologetica, rispetto alla lotta Israele/Palestina e al subordinare le libertà private ai fornitori  della sicurezza guidata dallo stato in patria e all’estero. Friel predilige in maniera persuasiva l’approccio di Chomsky sia rispetto alla sostanza delle loro divergenze  fondamentali che in relazione agli stili aspramente contrastanti di discussione.
Chomsky è descritto, credo accuratamente, come qualcuno coerentemente devoto alla argomentazione basata sulle prove, rinforzata da un rispetto  duraturo per l’importanza e l’autorità della legge internazionale e della moralità. Chomsky è anche stato un infaticabile oppositore dell’imperialismo e dell’intervento militare americano,  e dei regimi oppressivi in qualsiasi parte del pianeta. Viene anche mostrato da Friel come fortemente di aiuto nel dotare gli individui, sia cittadini oppure no, della massima libertà dall’interferenza dello stato. In base a tali prospettive, il comportamento di Israele e degli Stati Uniti è valutato da Chomsky come un tradimento dei valori umani e delle virtù di una democrazia costituzionale.
Invece Dershowitz è presentato, anche questa volta accuratamente, e sulla base di abbondante documentazione, come un volgare combattente dotato di prontezza a travisare la verità per servire le sue predilezioni sioniste che includono la tendenza del dopo 11 settembre verso un modo di governo autoritario e una disponibilità esagerata a giocarsi la carta anti-semitica perfino contro qualcuno con gli straordinari successi accademici di Chomsky nel campo della linguistica, e di statura globale, in quanto massimo intellettuale pubblico mondiale, che ha un impeccabile curriculum di tutta una vita di coraggio morale e di fedeltà alla verità. Dershowitz ha dedicato le sue energie distruttive a sviare nomine per mandati ai i critici di Israele e per usare la sua influenza per assillare gli editori esortandoli  ad astenersi dall’accettare  libri, per quanto meritevoli, che presentano lui stesso o Israele in quella che considera una luce negativa.
Friel illustra il contrasto tra questi due titanici antagonisti di talento, facendo riferimento al dibattito molto pubblicizzato su Robert Faurosson, il saggista francese che ha negato l’Olocausto.  Chomsky ha firmato una petizione nel 1979 che difendeva la libertà di espressione di Faurisson, un atto coerente con la sua lunga storia complessiva di appoggio alla libertà accademica senza restrizioni.  Dershowitz abbandona la sua precedente lealtà a un approccio analogo, non soltanto rifiutandosi di permettere che la libertà di espressione proteggesse Faurisson, ma attaccando verbalmente Chomsky e condannarlo per la sua presunta dimostrazione di appoggio alla negazione dell’Olocausto, dato che aveva avuto la temerarietà di difendere il diritto  di Faurisson di dire quello che aveva detto. Questa è una tattica tipica usata da Dershowitz che deliberatamente confonde un sostegno di principio per il diritto di avere e  sposare  opinioni eticamente inaccettabili con la presunta identificazione e simpatia con la sostanza delle opinioni espresse. Asserire che Chomsky abbraccia tacitamente la negazione dell’Olocausto, appoggiando Faurisson, era, come dimostra in conclusione Friel, chiaramente diffamatorio poiché ignorava le numerose occasioni in cui Chomsky aveva denunciato l’esperienza nazista culminata con l’Olocausto, come un esempio storico predominante di malvagità pura. Per Dershowitz passare sopra questi semplici fatti in relazione a Chomsky riguardo a questo argomento provocatorio vuol dire mostrare i suoi veri colori di volgare combattente che non ha inibizioni per diffamare i suoi oppositori, per quanto illustri e onorati possano essere, e indipendentemente da come da come chiaramente debba imparare la lezione.
Si deve supporre  che Dershowitz comprenda che tutta la vita di Chomsky dimostra un interesse      duraturo per il trattamento etico ‘dell’altro’, e  asserire in qualche modo Chomsky stesso stia flirtando con la negazione dell’Olocausto, è la calunnia  più irresponsabile e, ironicamente un abuso imperdonabile da parte di Dershowitz della libertà di espressione, che trasgredisce l’educazione, se non la legge. Il discorso civile e la ragione pubblica in una società democratica, dipendono dalla completa disponibilità degli individui a mostrare auto-disciplina, e a evitare di sfruttare le opportunità di diffamazione che la legge permette sempre nei commenti sui cosiddetti personaggi pubblici.
Dershowitz è principalmente noto, a parte la sua discussa  notorietà  come avvocato di tribunale in casi criminali di alto profilo, come un difensore  assoluto di Israele contro una vasta gamma di critici risposabili. Ha scritto molti libri e numerosi articoli contenenti attacchi violenti a personaggi di autorità morale come, per esempio, Jimmy Carter e l’Arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, compreso il suo famigerato pamphlet:   The case Against Israel’s Enemies: Exposing Jimmy Carter  and Others Who Stand in the Way of Peace (2008) [Argomentazione contro i nemici di Israele; denunciare Jimmy Carter e  altri che ostacolano la strada verso la pace]. Anche degli esperti largamente rispettati di faccende mondiali, come Stephen Walt e John Mearsheimer, divenatno obiettivi delle calunnie di  Dershowitz perché osano scrivere in maniera critica e persuasiva riguardo all’influenza distruttiva della lobby israeliana in rapporto al perseguimento prudente e razionale degli interessi nazionali americani nella condurre la politica estera, nel loro libro, The Israeli Lobby and U.S. Foreign Policy (2007) [La lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti).
A questo punto dovrei riconoscere che sono lungi dall'essere un osservatore neutrale. Sono stato accusato da Dershowitz in varie occasioni di essere un 'anti-semita' e un 'fanatico', principalmente  in relazione al mio ruolo di Relatore Speciale dell'ONU per la Palestina occupata, ma anche per replicare al fatto che ho scritto una breve nota  per appoggiare la contestazione influente di Gilard Atzmon diretta al pensiero liberale sionista nel libro The Wandering Who? (2011) [Il chi errante?]. Analoghi insulti sono stati rivolti da Dershowitz al mio predecessore nell’incarico di Relatore Speciale, John Dugard, un illustre giurista sudafricano e il più imparziale ed equilibrato campione dei diritti umani e della legge internazionale che abbia mai conosciuto. Attaccare chi critica Israele, specialmente coloro che possiedono forti credenziali accademiche e morali, è una cattiva rappresentazione di quella che ho chiamato ‘la politica della  diversione’,  cioè la politica di evitare la sostanza delle critiche denunciando i critici e i loro presagi, con l’intenzione di far cambiare direzione al discorso. Questi attacchi sono chiaramente intesi a chiudere le critiche a Israele assoggettando a violenza feroce chiunque osi violare il tabù sionista.
Forse la parte più importante dell’avvincente libro di Friel, è la sua descrizione della difesa che Dershowitz dello ‘stato che previene’ come superamento di un precedente postulato essenziale della democrazia liberale, cioè la presunzione di innocenza. Nello stato che previene che Dershowitz propone come necessario e quindi desiderabile, per il governo diventiamo tutti legittimi oggetti di sospetto e obbiettivi più alti dell’antiterrorismo. Una linea di analisi di questo tipo impone allo stato di agire preventimente invece che reagendo, e quindi a impiegare tutto l’apparato coercitivo dello stato perché identifichi i potenziali nemici prima che abbiano l’occasione di agire. Per un’interpretazione più impegnativa di questo argomento rispetto a quella offerta da  Dershowitz, raccomando molto di leggere il libro di Philip Bobbitt, Terror and Consent: The Wars for the Twenty-first Century (2008) [Terrore e Consenso: le guerre per il ventunesimo secolo]. Questa re-interpretazione dell’equilibrio tra la sicurezza e la libertà ribalta la enfasi tradizionale   sulle forme di reazione della sicurezza, dato che la sua logica viene usata per razionalizzare la tortura, e anche la detenzione preventiva di individui e la guerra preventiva contro gli stati, i protagonisti che non fanno parte dello stato, e perfino contro gli individui che vengono percepiti come persone che pongono minacce future. Queste razionalizzazioni indeboliscono la criminalizzazione incondizionata della tortura, e capovolgono completamente il tentativo della Carta dell’ONU di relegare il ruolo della forza nelle relazioni internazionali limitandone la sua  invocazione legale  a situazioni di auto-difesa contro un attacco armato precedente da parte dello stato. Avere intrapreso la disastrosa guerra contro l’Iraq nel 2003, è stato un chiaro esempio internazionale dello stato preventivo in azione, come lo sono anche le liste di uccisioni compilate ogni settimana per pianificare gli attacchi con i droni contro individui che risiedono in paesi stranieri. Un altro aspetto di questa posizione è rappresentata dalla detenzione a tempo indefinito di numerosi individui a Guantanamo per anni, senza accuse e con assenza di prove credibili per incriminarli.
Il legalismo rigido, naturalmente, non è un rifiuto dello stato che previene, ma un’esagerazione della minaccia terroristica è equivalente a volere la fine della democrazia politica nel modo in cui si è evoluta nel corso dei secoli. Abbiamo visto che perfino un presidente che si presumeva liberale, cioè Barack Obama, ha avallato un approccio autoritario in numerose aree della sua amministrazione,  compreso affidarsi alla guerra con i  droni e il sostegno a reti mondiali di sorveglianza praticamente infinite. Il modo in cui sono state trattate le talpe come Chelsea Manning e Edward Snowden, è anche un emblema dello stato preventivo che dirige l’attenzione del pubblico  verso la diffusione illegale di informazioni e contemporaneamente rifiuta di riconoscere o di porre rimedio ai reati dello stato che vengono rivelati. Inutile dire che Chomsky rivolge un’ acuta attenzione a questi pericoli e che da lungo tempo  ha sostenuto il mantenimento, perfino  il potenziamento delle tradizionali libertà dell’individuo malgrado le presunte rivendicazioni di sicurezza in senso contrario.
Friel ci ha offerto un paragone analizzato brillantemente dei due attivisti  intelligenti e vivacemente impegnati che personificano gli scenari alternativi a disposizione degli Stati Uniti, la scelta dei quali è di grande rilievo per il resto del mondo. Soltanto un difensore determinato dell’assenza di libertà e dell’ingiustizia potrebbe non riuscire a stare dalla parte di Chomsky in questo dibattito sul  futuro politico del pianeta. In questa visione più ampia, la difesa che fa Dershowitz di Israele contro il critico più responsabile di tutti, non è che una dimostrazione del suo più ampio allineamento con le tendenze repressive in patria e all’estero, malgrado le sue tenui pretese a fare il contrario.  Chiaramente in questa competizione, Chomsky è il vincitore in questa gara se giudicata correttamente, sia in termini di coerenza e accettabilità di visione del mondo, che di etica del discorso pubblico. Dershowitz, apparentemente spinto dalla goffaggine delle sue convinzioni, sembra sempre pronto ad adottare la tattica di Darth Vader (personaggio fondamentale di Guerre Stellari, n.d.t.),  alla quale Dick Cheney era sfacciatamente favorevole, riconoscendo timidamente che voleva dire andare verso ‘il lato buio’.
Lasciate che infine osservi, e con il dovuto riguardo per la concessione che mi è stata fatta di partecipare a questo tentativo  di valutare i meriti di questi due titani in competizione, che Howard Friel una volta ancora ha dato il suo  contribuito con un libro necessario a tutti coloro che si impegnano a perseguire la giustizia in relazione al problema Israele/Palestina e più generalmente alla vita internazionale.* Una virtù fondamentale dell’approccio di Friel è di riconoscere e spiegare il ruolo della legge internazionale riguardo al sostegno della pace mondiale e al conseguimento della giustizia globale.

*In questo spirito raccomando molto una precedente rivelazione riguardo a Bjorn Lomborg, un ambientalista danese scettico riguardo al riscaldamento globale, nel suo libro The Lomborg Deception: Setting the Record Straight about Global Warming (2010) [L'inganno di Lomborg: mettere in chiaro la documentazione sul riscaldamento globale]
e riguardo al potente New York Times, nel The Record of the Paper: How the New York Times Misrepresents U.S. Foreign Policy (2004) [La documentazione del giornale: come il New York Times rappresenti non correttamente la politica estera degli Stati Uniti].

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/clashing-views-of-political-reality-chomsky-versus-dershowitz-by-richhard-falk
Originale: Richardfalk.com
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC  BY – NC-SA  3.0



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