L’accordo quadro di Kerry di Jonathan Cook

21 dicembre 2013
 Z Net Italy
Nei giorni scorsi, i diplomatici statunitensi ed europei sono stati impegnati in una frenesia di attività sul fronte israelo-palestinese, prima di calmarsi per la solita ibernazione natalizia di due settimane.
Un senso di urgenza incombe perché si suppone che il mese prossimo Washington sveli la sua cosiddetta “proposta quadro” per la creazione di uno stato palestinese, in un ultimo disperato sforzo di interrompere  la paralisi nei negoziati. Per questa ragione,  i contorni della visione statunitense di un accordo stanno finalmente diventando più chiari. E, come molti si aspettavano, il quadro appare sconfortante per i palestinesi.
John Kerry, il Segretario di stato americano, che ha investito molto della sua reputazione personale in un esito di successo, sta diventando sempre più esplicito nel dire che un accordo  dipende dal soddisfare gli interessi di sicurezza di Israele, per quanto esagerati.
Durante un discorso tenuto questo mese durante il Forum Saban a Washington, Kerry ha detto che la più alta priorità del presidente Barack Obama era “l’abilità di Israele di difendere se stesso da se stesso”. Poco dopo, Kerry è ritornato nella regione per dimostrare ai funzionari israeliani e palestinesi che cosa intendeva dire.
Mahmoud Abbas, il presidente palestinese,  a quanto si dice, stava impazzendo  per la proposta degli Stati Uniti. Nei giorni scorsi i portavoce dell’Autorità palestinese hanno accusato Kerry di “acquietamento” e di non riuscire a essere “un mediatore neutrale”.
Le critica appare più che giustificata. Con la scusa di una visione di pace, il Segretario di stato americano offre a Israele un piano per la sicurezza a spese della importante  creazione di uno stato   palestinese.
Questo non è del tutto inaspettato  dato  che la bozza del piano è stata fatta da John Allen, un generale in  precedenza al comando delle forze statunitensi in Afghanistan, che ha passato mesi a mediare tranquillamente con le controparti  israeliane.
Il principale intoppo è la Valle del Giordano, un’area che si pensava avrebbe incluso quasi un quarto di un futuro stato palestinese. Allen ha  assecondato una richiesta di Israele  che gli venga concesso di continuare una “presenza militare” a lungo termine nella Valle del Giordano, per almeno 10 anni.
Non soltanto questo, ma, secondo un promemoria inviato da Abbas a Obama, che il quotidiano Haaretz ha rivelato questa settimana, il piano statunitense preparerebbe un eventuale ritiro di Israele se i palestinesi adempissero a un “test di attuazione”. Abbas giustamente crede che questo darebbe a Israele un veto effettivo a non lasciare mai la Valle del Giordano.
Questo è una grande ritirata dal precedente impegno di Washington, preso ai colloqui di Annapolis del 2007, che nessun soldato avrebbe dovuto essere di stanza in Cisgiordania, in seguito a un accordo. Le garanzie di sicurezza sarebbero invece fornite dalle truppe della NATO, al comando degli Stati Uniti.
La nuova proposta dovrebbe essere una causa di rottura. La valle è una  risorsa di importanza vitale  per i palestinesi, che è stata loro strappata per decenni dalle esagerate “necessità di sicurezza” di Israele.
La valle del Giordano offre l’unico confine terrestre in Cisgiordania che sarebbe potenzialmente sotto il controllo palestinese. E’una delle poche zone ancora non sviluppate e che la rendono un luogo possibile dove centinaia di migliaia di profughi palestinesi potrebbero tornare. E le sue terre sono fertili e calde per tutto l’anno, rendendo quindi l’area altamente produttiva e un probabile motore per l’economia palestinese.
Secondo il piano di Allen, la sicurezza di Israele richiede anche che le forze di sicurezza palestinesi siano armate soltanto in maniera leggera, che Israele abbia il controllo sullo spazio aereo e su tutti i confini, e che gli Stati Uniti installino tecnologie di spionaggio – chiamate in modo eufemistico “sistemi di avvertimento iniziale” – in tutta la Cisgiordania.
In altre parole, la visione che hanno gli Stati Uniti di uno stato palestinese sembra notevolmente simile al modello che Israele ha già realizzato a Gaza.
Basta soltanto ascoltare le parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, pronunciate dieci anni fa, per capire il suo ruolo in questo nuovo piano.
Nel 2001 Netanyahu ha parlato a un gruppo di coloni della Cisgiordania a un incontro che è stato filmato di nascosto. In quella occasione si è vantato che durante il suo primo incarico come primo ministro, alla fine degli anni ’90, aveva fermato il piano di pace di quell’epoca, gli Accordi di Oslo, con quello che chiamava un “trucco”.
Ha sventato la creazione di uno stato palestinese, accettando di ritirarsi in modo  limitato dalle terre palestinesi e insistendo allo stesso tempo sul mantenimento delle zone più importanti, specialmente la Valle del Giordano, classificandole come “siti militari specificati”.
Netanyahu ha detto ai coloni: “L’America è una cosa che si può spostare facilmente nella giusta direzione.” Quelle parole ora sembrano profetiche.
Rifiutando il piano degli Stati Uniti, Abbas  sembra avere l’appoggio della sua gente. Un sondaggio pubblicato questa settimana ha dimostrato che soltanto il 19% credeva che i colloqui avrebbero portato a un accordo.
Dato, quindi, il conflitto essenziale tra le necessità di “sicurezza” di Israele e la richiesta di palestinese di essere uno stato, come intende procedere Kerry?
Anche questo sta diventando chiaro. Il compito di far sì che Israele e i palestinesi collaborino,  si sta   subappaltando all’Unione Europea. Questo ha un senso dato che i principali finanziatori    dell’occupazione, gli europei, hanno maggiore influenza finanziaria su entrambe le parti.
All’inizio di quest’ anno l’UE ha brandito il suo bastone. Ha avvertito che avrebbe smesso di finanziare l’Autorità Palestinese di Abbas se non si fosse raggiunto alcun accordo alla fine dei colloqui.
Sebbene largamente considerato una minaccia diretta ad Abbas, la cui base di potere politico dipende dal denaro dell’UE che paga diecine di migliaia di lavoratori dell’Autorità Palestinese ogni mese, era ugualmente mirato a Netanyahu. Se l’AP dovesse essere  liquidata,  gli enormi costi per la gestione dell’occupazione toccherebbero  di nuovo a Isarele.
Anche i 28 stati europei membri hanno avvertito Israele che avrebbero smesso di finanziare l’Autorità Palestinese di Abbas se non fosse stato raggiunto un accordo alla fine dei colloqui.
Lunedì l’Europa ha tirato fuori la sua carota. Offre sia a Israele che ai palestinesi un importante pacchetto di aiuti e un miglioramento nelle relazioni economiche con l’UE, conferendo loro uno status di  “speciale partenariato  privilegiato”. A quanto si dice questo porterebbe a ogni parte enormi benefici per gli scambi commerciali e per la sicurezza.
Per quanto sia energica la pressione dell’Unione Europea, la realtà è che la dirigenza palestinese viene indotta a un accordo che distruggerebbe qualsiasi speranza di uno stato palestinese fattibile.
Si dice che Abbas abbia  il piano degli Stati Uniti “peggio che cattivo”. Il suo accordo su questo sarebbe peggio che disastroso.

Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale  Martha Gellhorn per il Giornalismo.  I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [ Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare:gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books).  Il suo nuovo sito web è: www.jonathan-cook.net.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su The National, ad Abu Dhabi.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/kerry-s-framework-agreement
Originale: Jonathan Cook’s ZSpace Page
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2013  ZNET Italy – Licenza Creative Com

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