Coloni, la più grande sfida palestinese.

AIC – Alternative Information Center
02.12.2013

Coloni: la più grande sfida palestinese
Dr. Ahmad Majdalani è un membro del Consiglio Nazionale Palestinese e del Comitato Esecutivo della OLP. Durante la sua carriera politica, Majdalani si è fatto strada arrivando ad assumere il ruolo di consigliere fidato dell’ultimo leader Yasser Arafat e, nel 2009, è stato eletto segretario generale del Fronte di Resistenza Popolare Palestinese (PPSF).
di Pamela Hardyment
L’intervista si apre con una discussione sui negoziati di pace. Il governo israeliano ha promesso di rilasciare alcuni “pezzi forti” tra i prigionieri palestinesi come auspicio per avviare il dialogo. Nel frattempo, i rappresentanti della OLP restano cauti, ascoltando finora solo il “parla parla”, fin quando le parti concorderanno le linee base dei negoziati, un preciso calendario per il rilascio dei prigionieri ed un rallentamento o blocco della costruzione degli insediamenti.

                                                   Ahmad Majdalani and Hanan Ashrawi / Foto: PLO

La cosa pericolosa che Israele sta tentando, è lanciare il messaggio che i palestinesi stanno accettando che il dialogo continui mentre si continua ad incrementare gli insediamenti,” ha detto Majdalani. Aggiungendo che se i negoziatori decidessero di stoppare il dialogo, come conseguenza della continua attività negli insediamenti, “Israele vincerebbe e continuerebbe con le sue azioni illegali, con la speranza di provocare nei palestinesi il completo ritiro dai colloqui.” 
Una delle maggiori sfide che i palestinesi devono affrontare è proprio quello della presenza di coloni israeliani, che frequentemente prendono iniziative nel bloccare strade e nell’annettere terre palestinesi –il tutto nella piena impunità e costantemente sotto la protezione della polizia e dell’esercito israeliano. “L’esercito sbarra l’altra strada, non fanno nulla per stoppare i crimini commessi dai coloni, anzi li proteggono. Tutte queste misure sono indirizzate ad insinuare terrore nei palestinesi per costringerli ad abbandonare spontaneamente le loro terre.” 
E cosa a riguardo di una terza Intifada -  un evento mai lontano dalla fantasia dei media? “Una terza Intifada?” risponde Majdalani, “Questo è il sogno israeliano. Loro vogliono provocare una Intifada, che libererebbe Israele dalla pressione internazionale e gli garantirebbe ancora una volta il ruolo di vittima contro il ‘terrorismo’ palestinese, provando a tutto il mondo che la Palestina non vuole la pace, ma solo distruggere Israele.” 
Come ex Ministro del Lavoro della PA, Dr Majdalani ha un particolare interesse per l’economia. Quando gli si chiede della evidente crescita del livello di povertà negli ultimi anni, cita due fattori chiave che ne hanno contribuito. Prima di tutto, “La richiesta palestinese di arrestare le costruzioni degli insediamenti ha fatto sì che il processo di pace sia andato in stallo, bloccandosi, ed ha portato alla cancellazione delle donazioni internazionali – comprese le donazioni dagli stati arabi.” Majdalani rivela inoltre il significativo impatto del riconoscimento di uno Stato Palestinese Sovrano da parte delle Nazioni Unite, lo scorso anno, una decisione che ha portato Israele ad una azione punitiva trattenendo i fondi destinati alla Palestina e che ha visto un significativo calo nelle donazioni di aiuti internazionali. 
 “Come secondo fattore, la continua pressione sull’economia palestinese da parte di Israele. Nonostante gli sforzi della PA nell’incoraggiare gli investimenti nei territori palestinesi, sia nei settori privati che da parte di internazionali, Israele ancora controlla le frontiere e tutte le transazioni economiche tra la Palestina e gli altri stati.” 
Controllano le nostre risorse naturali e la maggior parte delle terre palestinesi, classificate come Area C, che costituisce il 60% del territorio palestinese. In aggiunta, gli israeliani prendono una commissione del 3% su tutte le tasse e i fondi raccolti dai palestinesi, una cifra pari a miliardi di Shekel all’anno.” 
Non solo le risorse vengono controllate da Israele, ma anche la valuta. “Sfortunatamente la valuta usata dalla Palestina è lo Shekel israeliano. Così, l’economia palestinese sta portando il peso dell’inflazione israeliana, comprese le perdite, che indeboliscono la PA economicamente.” 
Majdalani continua col marcare l’importanza nel capire quanto gli insediamenti non sono solo un progetto demografico, ma soprattutto un progetto economico. “La maggior parte dei coloni sono investitori o stranieri. Percorrendo la strada da Ramallah a Nablus, ad esempio, si può vedere solo un 10% delle case illuminate; il resto sono utilizzate semplicemente come seconda abitazione. Nella Valle del Giordano ci sono 37 insediamenti con non più di 10,000 abitanti. Questi coloni rappresentano un grande business agricolo con investimenti dagli alti ranghi degli ufficiali dell’esercito israeliano.” 
95% del territorio israeliano è controllato da quelle compagnie israeliane - incluse quelle che si occupano delle risorse idriche - che sono impegnate nel mercato globale,” accumulando profitti pari a 612 milioni di dollari nelle esportazioni. Per proteggere questi investimenti, Majdalani continua, Israele ha consolidato un piano per ottenere un controllo completo sulla Valle del Giordano, continuando così l’occupazione e assicurandone un lauto profitto a tempo interminato. 
 Con così pochi incentivi per la fine dell’occupazione quindi, qual è il motivo della partecipazione di Israele ai negoziati in corso? Majdalani ritiene che la risposta è semplice da vedere: punta ampiamente a mantenere lo status quo, “Quello di cui stanno parlando è uno stato palestinese nel quale viene controllata la Valle del Giordano, che rappresenta il 40% del territorio palestinese e contiene la maggior parte delle risorse naturali. Loro vogliono inoltre occupare tutte le terre adiacenti il Muro, che anche sono di proprietà palestinese.” 
 Dal piano di disimpegno unilaterale israeliano dalla Striscia di Gaza, nel 2005, il piccolo territorio non ha più subito la sofferente presenza dei coloni, ma l’assedio in corso e la divisione partitica ha funestato la politica palestinese da quando Hamas ha preso il potere della Striscia nel 2007, e questo ha avuto un impatto economico duraturo sia a Gaza che in Cisgiordania. 
Quasi il 48% delle risorse palestinesi vanno alla Striscia di Gaza, mentre Gaza contribuisce solo con il 3% dell’economia palestinese. Il PIL palestinese è diminuito dal 9.6% nel 2010 al 5% nel 2012.” Alla fine egli ritiene che, per quanto riguarda la leadership di Hamas, “Non c’è nessuna possibilità per uno Stato nella Striscia di Gaza, nessuno può sostenere uno stato religioso nella regione.” 
 Nonostante i tempi incerti, Majdalani mantiene il suo spirito rivoluzionario, sostenendo che la Palestina ha ancora delle chance nella lotta per la giustizia, “Non una Intifada come vorrebbe Israele, noi stiamo parlando di un’altra forma di confronto: resistenza pacifica contro gli insediamenti, contro il muro, contro tutte le attività di occupazione israeliana. Questo non può essere ottenuto con un confronto armato.” 
Il suo pensiero finale e le sue speranze restano sulle settimanali dimostrazioni non violente che si tengono in molte città e villaggi in tutta la Cisgiordania, “Questi atti simbolici possono svilupparsi ovunque, e rappresentare una nuova ondata. Queste azioni sono iniziate quando è iniziata l’occupazione, con la Lotta Popolare del Fronte Palestinese nel 1967 – la resistenza non si è mai stoppata in 46 anni, e continuerà” conclude Majdalani. 
(tradotto a cura di AIC Italia

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