Be'er Sheva: no agli immigrati

 

di Roberto Prinzi


Roma, 5 dicembre 2013, Nena News - Gli immigrati in Israele non li vuole proprio nessuno. L'ultimo in ordine di tempo è stato l'altro ieri il sindaco di Be'er Sheva, Rubik Danilovic, che si è detto contrario allo stanziamento di fondi per alcune linee di autobus che dovrebbero trasportare gli immigrati dal carcere «aperto» di Sadot alla «capitale del Neghev». La ferma presa di posizione del primo cittadino nasce dalla decisione della scorsa settimana del governo Netanyahu. Nel programma che si occupa del «fenomeno infiltrazione» è previsto lo stanziamento di sei milioni di shekel all'anno per aumentare il trasporto pubblico dal centro di detenzione degli immigrati verso altre destinazioni. Dovranno essere 16 gli autobus che partiranno (e torneranno) ogni giorno dal centro di Sadot per Be'er Sheva.

L'impianto dovrebbe aprire fra due settimane e dovrebbe ospitare inizialmente 3.300 persone ma, a lavori terminati, ne ospiterà qualche altro migliaio. Gli «infiltrati» detenuti nella struttura («aperta» di giorno e chiusa di notte) non potranno lavorare e dovranno presentarsi 3 volte ai controlli. Ciononostante saranno «liberi» di uscire dalle 6 alle 22.«Liberi di uscire» in pieno deserto. Un'idea che se non fosse così drammatica potrebbe far sorridere per la sua idiozia.

Appresa la notizia, Danilovitch è andato su tutte le furie: «sono rimasto sorpreso quando ho appreso la notizia dai media. La città di Be'er Sheva non permetterà che ciò accadrà» ha detto risoluto. Il sindaco ha poi rincarato la dose parlando di «atto irresponsabile» e si è detto determinato ad incontrare questa settimana il direttore dell'ufficio del primo ministro per trovare una soluzione. Sulla questione è intervenuto anche l'avvocato Oded Feller, capo del settore Immigrazione nell'associazione dei diritti del cittadino, che al quotidiano Yedioth Ahronoth ha dichiarato: «il governo israeliano agisce preso dall'isteria politica senza valutare tutte le implicazioni dell'impianto [di detenzione, ndr] a Ketzi'ot». Per Feller invece di pensare a «soluzioni per l'intera popolazione, si arrecherà soltanto sofferenza a migliaia di persone, richiedenti asilo e cittadini israeliani». Non è chiaro però cosa Feller intenda per «sofferenza ai cittadini israeliani». La presenza di immigrati nelle strade di Be'er Sheva?

Nel frattempo tre giorni fa alla Commissione degli Interni della Knesset il Ministro degli Interni Sa'ar ha precisato che il nuovo centro «aperto» non sarà destinato alle famiglie (almeno nella sua fase iniziale) ma solo agli uomini. Ha glissato però su dove andranno migliaia di donne e bambini non è ancora chiaro. L'impianto di Sadot (ubicato vicino il carcere di Saharonim) è una delle due soluzioni che il governo Netanyahu ha pensato (e approvato recentemente) per risolvere il «problema infiltrazione». Gli oltre 50.000 immigrati e richiedenti asilo (per la maggior parte dei media e degli israeliani «infiltrati») hanno da oggi due possibilità: o essere imprigionati per un anno, o ricevere da Tel Aviv una somma di denaro (1.500-3.500 dollari) e lasciare «volontariamente» lo stato ebraico.

Le violenze sulle lavoratrici straniere

Che gli stranieri non se la passino bene in Israele è confermato anche da uno studio pubblicato qualche giorno fa. Secondo i dati del centro di ricerca e di informazione della Knesset, nello stato ebraico risiedono 44.420 lavoratrici straniere impiegate per lo più nel campo dell'assistenza (43.368). Secondo lo studio, le lavoratrici sono «rinchiuse» 24 ore su 24 sette giorni su sette nelle case dei loro datori di lavoro con i quali condividono molti «momenti intimi» subendo spesso violenze di carattere sessuale. Gli autori di queste aggressioni sono generalmente i familiari del datore di lavoro che la badante straniera assiste. Secondo i dati della ricerca, su 271 casi presentati alla polizia dal 2009, 170 sono stati chiusi senza condanna e solo due volte per assenza di colpa. Ancora più preoccupante, inoltre, sono i reati denunciati: 100 casi di stupro e 130 «atti indecenti».

Dati allarmanti ma che non fotografano correttamente la realtà perché il problema è molto più grave . Secondo lo studio, infatti, la maggior parte delle donne non sporge denuncia alla polizia perché non sa a chi rivolgersi, si sente abbandonata dalle istituzioni locali (che non forniscono alle colf un numero adeguato di traduttori, né le tutelano giuridicamente) e nasconde la violenza subita anche all'interno della sua comunità di appartenenza per non generare scandalo.

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