Israele intende trivellare petrolio nella West Bank di Jonathan Cook

Nazareth, Israele – Il mese scorso, gli investitori israeliani hanno avuto motivo di festeggiare per le notizie che presto Israele potrebbe essere associato al club degli stati produttori di petrolio, da aggiungersi ai suoi recenti ritrovamenti di grandi depositi di gas naturale al largo della costa.

Partecipazioni nella Givot Olam, una società israeliana di prospezioni petrolifere, hanno raccolto rapporti sul fatto che essa aveva individuato nel sito Meged 5 riserve di petrolio molto più ampie di quanto valutato in precedenza. 
L’azienda, che afferma di aver già venduto petrolio per il valore di 40 milioni di dollari da quando il giacimento di Meged è divenuto operativo nel 2011, ora ritiene che il pozzo sia situato su riserve sfruttabili dell’ordine di 3,53 miliardi di barili – circa un settimo delle riserve comprovate del Qatar. 
Solo una nube si profila all’orizzonte. Non è chiaro quanto di questa ricchezza petrolifera ritrovata appartenga in realtà a Israele. Il pozzo si trova sulla cosiddetta Linea Verde, la linea armistiziale del 1948 che separa formalmente Israele dai territori palestinesi occupati. 
Secondo i funzionari palestinesi, Israele ha spostato il percorso del suo muro di separazione di cemento e acciaio – per motivi di sicurezza – per fornire alla Givot Olam il libero accesso al sito, tra la città israeliana di Rosh Haayin e il villaggio palestinese di Rantis, a nord-ovest di Ramallah. 
Dror Etkes, un ricercatore israeliano che sta alle costole delle attività israeliane nella West Bank, ha dichiarato che il sito Meged era “a poche decine di metri” all’interno della Linea Verde. 
Tuttavia, Israele e la Givot Olam hanno reso difficile l’accesso, sostenendo che Meged 5 è interessato da un poligono di tiro militare israeliano accanto ad esso sul lato opposto della Linea Verde, nel territorio palestinese occupato. In passato, è stato proibito ai media di filmare o di fotografare il sito. 
Etkes, tuttavia, si è detto all’oscuro che qualsiasi esercitazione militare abbia mai avuto luogo nel poligono di tiro. 
Ma ciò che appare evidente è che il campo petrolifero si estende su un’area molto vasta, con gran parte delle riserve che si ritiene si trovino sotto in territorio palestinese nella West Bank. 

Petrolio nei Territori Occupati 

Anche se il ministero israeliano dell’energia e dell’acqua si è rifiutato di commentare pubblicamente Meged 5, privatamente un alto funzionari ha detto ad Aljazeera che il campo è esteso almeno 125 kmq, e forse anche oltre i 250 kmq. 
Secondo gli accordi di Oslo Israele è obbligato a coordinare con l’Autorità Palestinese qualsiasi esplorazione per le risorse naturali in un territorio condiviso e trovare un accordo sul come dividere i profitti. 
Ashraf Khatib, un funzionario dell’unità di supporto per i negoziati dell’Autorità Palestinese, ha sostenuto che il campo petrolifero di Meged faceva parte del generale “furto delle risorse naturali palestinesi” di Israele. 
“Per noi il problema è che l’occupazione non riguarda solo le colonie e la confisca dei terreni. Israele trae anche profitto in modo massiccio dallo sfruttamento delle nostre risorse. Da ciò ne deriva una gran quantità di denaro per Israele, ecco perché l’occupazione è divenuta così prolungata, “ ha detto. 
Lo scorso anno, quando le riserve di Meged 5 erano ritenute di 1,5 miliardi di barili – meno della metà delle stime attuali – Jamil al-Mutaur, vice presidente della Qualità dell’Ambiente dell’Autorità Palestinese, ha minacciato di querelare Israele nei tribunali internazionali per le sue iniziative unilaterali a Meged. 
Gidon Bromberg, direttore del gruppo ambientale degli Amici della Terra del Medio Oriente ha dichiarato che il suo gruppo avrebbe sottoposto quesiti al governo israeliano a proposito di Meged 5. 
“Se ci sono riserve di petrolio sotto i territori occupati, allora Israele deve assolutamente parlare all’Autorità Palestinese a proposito di ogni esplorazione che venga intrapresa per estrarlo,” ha detto. 
L’aspettativa nel futuro di un drammatico aumento dei profitti di Israele tratti dalla perforazione a Meged 5 arriva poco dopo che la Banca Mondiale ha pubblicato una relazione sostenendo che Israele stava distruggendo ogni speranza che un futuro stato palestinese potesse essere economicamente autosufficiente. 
‘Stretta alla gola’ israeliana dell’Area C 
Secondo la Banca Mondiale, l’occupazione israeliana impedisce ai palestinesi di sfruttare le principali risorse naturali, saccheggiandole per il proprio uso o rendendole inaccessibili ai palestinesi tramite limitazioni al movimento o la classificazione delle aree come zone militari. 
Il rapporto della Banca Mondiale non ha incluso il campo petrolifero di Meged tra le risorse naturali palestinesi che ha elencato. Un portavoce ha detto che non c’erano stati abbastanza dati disponibili per i suoi ricercatori per valutare l’importanza del campo petrolifero. 
Nella relazione, la Banca Mondiale si concentra su una vasta area della West Bank designata negli accordi di Oslo come Area C, che continua a essere sotto il pieno controllo di Israele e dove questi ha costruito più di 200 colonie. 
L’Area C, che comprende quasi due terzi del territorio della West Bank, include la maggior parte delle principali risorse palestinesi, compresi i terreni per l’agricoltura e l’urbanizzazione, falde acquifere, minerali del Mar Morto, cave, siti archeologici e turistici. E’ anche dove è probabile siano individuate gran parte delle riserve del Meged. 
Il Ministero dell’energia e dell’acqua di Israele è diretto da Silvan Shalom, uno stretto alleato del primo ministro Benjamin Netanyahu e sostenitore del programma coloniale di Israele nella West Bank. 
Naftali Bennett, che è ministro del commercio e dell’industria e leader del partito filo-coloni “Casa Ebraica” , ha rivendicato ripetutamente l’annessione formale dell’Area C ad Israele. 
Secondo una ricerca della Banca, l’Autorità Palestinese potrebbe produrre almeno 3 miliardi di reddito extra all’anno se le venisse concesso il pieno controllo dell’Area C – anche se tale cifra non prende in considerazione il boom previsto dalle entrate petrolifere. 
Il portavoce della Banca Mondiale ha detto che la cifra era “molto prudente”, in quanto ci sono state alcune risorse, quali il giacimento petrolifero, per le quali i suoi ricercatori non sono stati in grado di raccogliere dati. 
Ciononostante, anche il reddito derivato dalle risorse identificate dalla Banca Mondiale avrebbe aumentato di un terzo il PIL dell’Autorità Palestinese, riducendo il deficit da aumento dei prezzi, incidendo sui tassi di disoccupazione che hanno raggiunto il 23 %, alleviando la povertà e l’insicurezza alimentare e aiutando l’occasione del nascente stato rendendolo esente dalla dipendenza dagli aiuti. 
Ma niente di tutto questo potrà essere realizzato, ha detto la Banca, fintantoché Israele manterrà la stretta alla gola sull’Area C – o quella che la Banca chiama “area regolamentata”. 
Mariam Sherman, direttrice della Banca Mondiale nella West Bank e a Gaza, ha detto: ”Liberare il potenziale di tale “area regolamentata”….e permettere ai palestinesi di mettere all’opera queste risorse fornirebbe interi nuovi settori di attività economiche e assicurerebbe all’economia un percorso orientato verso una crescita sostenibile.” 
Questa estate, il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha fatto rivivere i colloqui di pace tra Israele e i palestinesi dopo aver promesso all’Autorità Palestinese che l’avrebbe aiutata a raccogliere 4 miliardi di dollari da investire nell’economia palestinese, in gran parte diretti a progetti nell’Area C. 
Tuttavia, il rapporto della Banca Mondiale lascia intendere che le restrizioni israeliane al movimento nell’Area C e il rifiuto di rilasciare permessi di sviluppo vi rendono troppo rischiose le speculazioni per gli investitori palestinesi. 
Khatib ha detto: “L’Autorità Palestinese deve affrontare un deficit di 2 miliardi di dollari e ha disperatamente bisogno di investire in grandi progetti approfittando delle nostre risorse naturali. Il che è l’unico modo per porre fine alla dipendenza dell’Autorità Palestinese dagli aiuti internazionali.” 
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato di perseguire nei territori occupati una “pace economica” con i palestinesi invece dei progressi diplomatici. Al contrario, l’Autorità Palestinese descrive la politica di Israele come una “guerra economica” contro i palestinesi. 
La politica israeliana di vecchia data nei confronti delle risorse nei territori occupati suggerisce che è improbabile che Israele onori i propri obblighi dettati dagli accordi internazionali riguardo ai profitti derivabili dal campo petrolifero di Meged. 
Etkes ha sostenuto: “La realtà è che Israele sta godendo i frutti economici dell’occupazione sfruttando le risorse che appartengono ai palestinesi.” 
Precedenti estrazioni di risorse 
Nel caso degli acquiferi principali della regione, che si trovano sotto i rilievi della West Bank, Israele ha demolito centinaia di pozzi palestinesi per mantenere l’esclusività del suo controllo sulle risorse idriche. Le colonie e le basi militari sono state ubicate sopra i punti principali di estrazione. 
Un rapporto di al-Haq fatto agli inizi di quest’anno ha mostrato che Israele ha preso l’89% del prelievo idrico totale dall’acquifero della West Bank, lasciando ai palestinesi soltanto l’11%. Di conseguenza, gli israeliani avevano ciascuno in media 300 litri di acqua al giorno, rispetto ai soli 73 litri dei palestinesi – al di sotto dei 100 litri pro capite raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. 
Per quanto riguarda un’altra risorsa chiave, nel 2011, la Corte Suprema di Israele ha stabilito che una dozzina di imprese israeliane avrebbero potuto continuare a estrarre pietra da costruzioni dalle cave della West Bank, in quanto l’occupazione israeliana non veniva più considerata temporanea, ma era diventata “prolungata”. 
La sentenza è stata ampiamente criticata da esperti legali che hanno sostenuto che essa ha ignorato i divieti a proposito dei furti di risorse presenti nel diritto internazionale, inclusa la Convenzione dell’Aja del 1907. 
L’Autorità Palestinese ha stimato il valore annuale della pietra estratta da Israele pari a 900 milioni di dollari. 
Medged 5 non sarebbe la prima volta che Israele è stato trovato aver saccheggiato le riserve di petrolio dei suoi vicini. 
Nel 1975, venne alla luce che Israele stava perforando nel campo di Abu Rudeis a seguito dell’occupazione della Penisola del Sinai durante la guerra del 1967. Il giacimento petrolifero fornì due terzi del fabbisogno interno di Israele prima che questi fosse costretto a restituire i pozzi all’Egitto. 
Israele continuò a cercare di sfruttare il petrolio del Sinai trivellando ulteriormente il campo a sud di Alma, ma dovette restituire pure quei pozzi quando firmò l’accordo di pace di Camp David con l’Egitto nel 1979. 
Centinaia di siti all’interno di Israele e dei territori occupati sono stati ispezionati alla ricerca di petrolio negli anni successivi senza un successo significativo – fino al ritrovamento di Meged. 
Negli ultimi anni, l’annuncio di Israele di scoperte di grandi giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo ha aumentato le tensioni con i paesi vicini, specialmente il Libano, che ha dichiarato che Israele sta sondando in aree dove le frontiere marittime sono controverse. 
Ci si aspetta che due giacimenti, denominati Tamar e Leviatano, trasformino Israele in un esportatore di gas entro il 2016. 
I palestinesi hanno il loro importante giacimento di gas situato appena al di fuori della costa di Gaza. Nel 2000, l’allora presidente palestinese Yasser Arafat dichiarò che il sito “avrebbe fornito una solida base per la nostra economia, per la costituzione di uno stato indipendente.” 
Israele, tuttavia, pose ripetutamente ostacoli agli sforzi per estrarre il gas, sostenendo che i profitti sarebbero stati utilizzati per finanziare il terrorismo. Invece, i palestinesi hanno continuato a essere dipendenti da Israele per il soddisfacimento del loro fabbisogno energetico. 
Dal 2009, Israele ha pure violato gli accordi di Oslo riducendo l’accesso dei palestinesi alle acque marittime di Gaza, da 20 miglia nautiche a 3. 
Secondo un analista, Anais Atreasyan, l’interpretazione più plausibile delle azioni di Israele è che questi alla fine spera di “integrare i campi di gas al largo di Gaza agli adiacenti impianti offshore israeliani”, “bloccando, quindi, lo sviluppo economico palestinese.” 
Secondo il punto di vista di Atreasyan e di altri, l’intento di Israele è quello di impedire l’emergere di un qualsiasi tipo di economia palestinese indipendente che ne conseguirebbe se i palestinesi fossero in grado di utilizzare i flussi lucrativi di reddito derivanti dai giacimenti di gas al largo di Gaza e il probabile petrolio sottostante la West Bank. 
“In questo modo, “ ha sostenuto Khatib, “Israele può mantenere più facilmente i palestinesi che lottano di giorno in giorno, in modo che solo sopravvivano economicamente.” 
(tradotto da mariano mingarelli)
 Israele intende trivellare petrolio nella West Bank

Aljazeera.com
02.11.2013
http://www.aljazeera.com/indepth/features/2013/11/israel-drill-oil-west-bank-201311114571416794.html

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