Per tutti e per ciascun guerriero la cui forza è nel non combattere di Mitchel Cohen

"Scambiamo medaglie inutili con un lavoro decoroso"
“Scambiamo medaglie inutili con un lavoro decoroso”

di Mitchel Cohen – 5 giugno 2013
[Il titolo è ripreso da un verso della canzone di Bob Dylan ‘The Chimes of Freedom’  (Le campane della libertà)– n.d.t.]
La debolezza delle strategie basate sul concetto di minimo comun denominatore è emersa in tutta evidenza nel corso del bombardamento dell’Iraq nel 1991, re-infiocchettato come “la Guerra del Golfo”. “Sostenete i nostri soldati, non la guerra!” insisteva la Campagna Nazionale per la Pace nel Medio Oriente, nata dal vecchio Comitato Nazionale di Mobilitazione per la Fine della Guerra del Vietnam e che successivamente si sarebbe trasformata nel movimento Uniti per la Pace e la Giustizia, le stesse politiche, la stessa dipendenza dalla costruzione di coalizioni sulla base del minimo comun denominatore, la stessa leale opposizione al sistema bipartitico e, di fatto, le stesse persone. L’assunto sottostante: sosteniamo le “nostre” truppe a favore dell’imperialismo ma non le loro (si noti la svolta: non stiamo più parlando di “persone”, ora, bensì di “truppe”). E qualsiasi cosa facciate non dite nulla a proposito della Palestina o di Israele!
In tutto il paese – in effetti, in tutto il mondo – manifestanti indipendenti e arrabbiati contro la guerra, tra cui numerosi soldati e marinai disertori di altri paesi, hanno agito direttamente per contrastare la guerra. Hanno bloccato o sabotato carichi di munizioni diretti nel Golfo. In un incidente, una nave container di proprietà tedesca, la Eagle Nova, con personale costituito da ufficiali tedeschi e marinai filippini, si è rifiutata di trasportare merci militari nel porto di Dammam, Arabia Saudita, nel Golfo [1]. In un altro caso 27 membri mussulmani dell’equipaggio della Banglar Mamata, una nave del Bangladesh, hanno abbandonato la nave a Oakland, California, piuttosto che proseguire per consegnare il loro carico di munizioni alle truppe statunitensi [2]. Anche ufficiali e membri dell’equipaggio giapponesi sindacalizzati di navi container e navi cisterna si sono rifiutati di trasportare carichi militari statunitensi nella zona di guerra. Le azioni dirette della classe lavoratrice internazionale contro lo sviluppo della guerra, in realtà sono state così diffuse che i dirigenti si sono preoccupati che “le interruzioni delle forniture possano diventare tanto frequenti da colpire il potenziale statunitense di combattimento al fronte in una guerra lunga.” [3]
Tra il 2 agosto 1990 e il marzo dell’anno seguente, più di 13.000 soldati statunitensi si sono opposti direttamente ai tamburi di guerra. Sono stati incarcerati a centinaia e decine di migliaia di loro hanno disertato – molti tra essi neri o latini – in proporzione più vasta che durante la guerra del Vietnam. In un singolo caso, 67 membri della Guardia Nazionale della Louisiana hanno disertato in gruppo da Fort Hood, Texas, agli inizi di febbraio per protestare contro l’addestramento inadeguato, le politiche scorrette di congedo il razzismo, all’ombra della guerra. Tod Ensin, un membro del personale di Citizen Soldier [Cittadino soldato], l’ha definito “il più vasto atto di opposizione militare di massa” nel corso della Guerra del Golfo [4]. 
Il 9 dicembre 1990 un veterano del Vietnam, Tim Brown – descritto dall’Associated Press come “una persona geniale e positiva che viveva da solo in una casa-barca e raramente discuteva di politica” – è morto dopo essersi dato fuoco a Isleton, California, per contestare il consolidamento nel Golfo. In manifestini lasciati sui parabrezza di un’auto vicina, aveva scritto: “Io, Tim Brown, veterano del Vietnam, dichiaro che questo mio atto di autoimmolazione è una protesta diretta contro la politica bellica statunitense in Medio Oriente. Stati Uniti, non andate in guerra. Stati Uniti, non ripetere l’errore del Vietnam. Non aspettate che la guerra inizi per protestare dopo. Protestate ora, fin che c’è ancora tempo.” Il 17 febbraio 1991, all’apice dei bombardamenti statunitensi in Iraq, Gregory Levey, ex studente dell’Università del Massachusetts e insegnante di sostegno, si è dato fuoco mostrando un cartello per la pace. E’ morto ad Amherst Commons, in Massachusetts, per protesta contro i bombardamenti statunitensi e l’uccisione di civili innocenti. “No al sangue per il petrolio!” e “Diavolo, no, non andremo, non moriremo per la Texaco!” sono diventati i gridi di battaglia del movimento in espansione contro la guerra.
Diversamente dalle autoimmolazioni dei monaci buddisti durante la Guerra del Vietnam, questi atti coraggiosi e strazianti non hanno ricevuto virtualmente alcuna pubblicità sui media convenzionali. Solo due o tre giornali hanno raccolto la notizia dell’AP dell’atto di Tim Brown. Ma i nostri media, compresa la radio WBAI di New York e la rete Pacifica in tutti gli Stati Uniti, il Guardian, e in gruppi di nuova formazione come Hands Off! [Giù le mani] (vedere oltre) la notizia è stata raccolta e ha contribuito a infiammare un malcontento già crescente nell’esercito. Oppositori militari hanno cominciato a comparire dovunque, in uniforme e in abiti civili, a parlare contro la guerra, nonostante le minacce di corte marziale e di carcere.
Mentre era sequestrato in Iraq come prigioniero di guerra dopo che il suo aereo era stato abbattuto, il tenente Jeffrey Zaun del New Jersey è stato un eroe dei media, in modo molto simile a Jessicha Lynch un decennio dopo. Giornali e televisioni hanno tappezzato della sua fotografia tutti i loro spazi. Ma tale adorazione dell’eroe è durata solo fino a quando Zaun è tornato e ha comunicato le sue idee sulla sua esperienza nel Golfo: “Questo paese non ha compreso il costo della guerra. Io sì. La gente pensa che siamo andati là e siamo stati grandiosi; ma non ha visto le madri irachene uccise. Io non voglio uccidere più nessuno.” La stampa ha sepolto la sua dichiarazione così come l’esercito statunitense ha usato i bulldozer per seppellire vive decine di migliaia di coscritti iracheni della classe operaia, poveramente armati, nelle sabbie del deserto.
Quelli che hanno tentato di convincere i propri commilitoni della Guardia Nazionale a opporsi sono stati considerati “agitatori” e sottoposti alla corte marziale. Il sergente Robert Pete è stato condannato a sei anni di carcere mentre Dwayne Black e Derrick Guidry sono stati condannati a un anno ciascuno. Tutti e tre sono stati inoltre congedati con disonore [5]. E molti dei circa 2.500 soldati che hanno chiesto lo status di obiettori di coscienza in quel periodo hanno subito gravi accuse di “diserzione”; hanno affrontato lunghe condanne al carcere per la loro posizione pubblica contro la guerra.
In aggiunta a quelli sottoposti a corte marziale in patria, più di un centinaio di soldati contrari alla guerra in Germania erano ancora detenuti dalle autorità militari a tutto marzo 1991 o sono stati costretti alla diserzione. Soldati tornati dall’Arabia Saudita hanno riferito di centinaia di altri soldati detenuti in quel paese [6].
In un’affollata e soffocante aula di tribunale della base del Corpo dei Marine a Camp Lejeune, North Carolina, i processi della corte marziale contro dozzine di marines che si erano opposti alla Guerra del Golfo sono proseguiti per tutta l’estate, senza nemmeno una parola sulla stampa delle imprese.
Il capitano Yolanda Huet-Vaughn, un medico dell’esercito, ha rifiutato l’ordine di essere inviata nel Golfo. Quando la Huet-Vaughn ha denunciato la guerra sul programma televisivo a diffusione nazionale di Sally Jessy Raphael e ha osservato che alcune delle armi chimiche di Saddam Hussein erano prodotte da società statunitensi, Sally Jessy ha perso il controllo. Ha aggredito come una furia la dottoressa, ha piantato il suo viso a una ventina di centimetri da quello di lei  e ha urlato: “Fuori! Fuori dal mio programma!” ha riferito Amy Goodman, della WBAI, che era anche lei ospite alla registrazione. La Huet-Vaughn ha rivendicato che, da medico, il suo addestramento consisteva nel guarire le persone, non nell’ucciderle. Al Forte Leonard Wood in Missouri, il capitano Huet-Vaughn, messicano-statunitense, è rimasta confinata nella base per ventiquattr’ore al giorno, costretta a riferire ogni quattro ore dove si trovava, e le è stato impedito di vedere i figli in privato (dovevano restare all’esterno ogni volta che le facevano visita). Da cinquanta a sessanta sostenitori hanno affollato tutte le sue udienze, rifiutandosi di consentire che le macchinazioni del governo restassero celate dietro porte chiuse.
Sam Lwin era uno studente della Nuova Scuola di Ricerca Sociale di New York. Solo ventunenne, ha subito sette anni di carcere per aver organizzato l’opposizione della sua unità della riserva del Corpo dei Marine, la Compagnia Fox, a Fort Chuyler, nel Bronx. Aveva sottoposto il suo status di obiettore di coscienza prima che l’unità fosse attivata nel novembre del 1990. Lwin, con sette altri obiettori di coscienza della sua unità, ha rifiutato la chiamata. Sam ha affrontato sette anni in carcere, un congedo con disonore e la perdita di tutte le indennità, compresa l’assistenza medica e la pensione, per essersi rifiutato di uccidere. I suoi compagni di studi alla Nuova Scuola hanno creato il gruppo ‘Giù le mani da Sam!’, che ha cominciato presto a occuparsi di casi di altri resistenti, è diventato nazionale e ha cambiato nome semplicemente in ‘Giù le mani!’ (Lwin ha finito per scontare quattro mesi di carcere, una condanna ridotta grazie, in larga misura, al diffuso sostegno organizzato dai suoi compagni di studi).
Ronald Jean-Baptiste è stato uno dei primi oppositori alla Guerra del Golfo. Ha parlato pubblicamente alle prime manifestazioni contro la guerra da haitiano-statunitense dicendo: “Non mi permettono di donare il mio sangue per aiutare le persone, perché sono haitiano, ma vogliono che lo versi per loro e uccida altri. Non lo farò.”
Stephanie Atkinson, dell’Illinois, è stata sottoposta alla corte marziale in quanto appartenente alla riserva dell’esercito per essersi rifiutata di combattere nel Golfo. Lasciato l’esercito è diventata una franca critica ed è andata a lavorare presso la Lega dei Resistenti alla Guerra a difendere altri oppositori.
Perché non ricordiamo i loro nomi, questi oppositori, questi eroi di umanità di azione diretta che hanno affrontato conseguenze personali così terribili e tuttavia hanno continuato a rifiutarsi di uccidere per l’imperialismo statunitense? Perché le loro azioni non sono state trascritte dai resoconti della resistenza all’interno dell’esercito alla Guerra del Golfo? Sono oppositori che si sono rifiutati di essere pedine uccidendo altri poveri per il petrolio, i profitti e l’impero. Hanno agito con grande coraggio morale affermando: “Questo è ciò che è giusto, quest’altro è ciò che non lo è. Nessuna cosa al mondo potrà farmi muovere da questa posizione.” Né dovremmo dimenticare contro cosa erano schierati, questi ragazzi (poiché è questo che erano per la maggior parte). Sono stati cacciati dall’esercito e mandati in galera, hanno perso le loro borse di studio, il loro lavoro, a volte le loro famiglie e gli amici. Spesso sentiamo parlare di quanto siamo debitori nei confronti dei nostri veterani che hanno combattuto nelle guerre di questo paese. Ma dobbiamo molto di più a quelli che si sono rifiutati di battersi, ai nostri veterani contro la guerra, per aver opposto i loro corpi al rullo della macchina bellica facendolo rallentare e a volte fermare.
Ricordiamo Kevin Sparrock, uno studente della Scuola di Arti Visive di New York; Erik Larsen, uno studente dello Chabot Community College in California e Tahan Jones. Sono stati tra gli oppositori più in vista perché hanno contribuito a organizzare dimostrazioni contro la guerra in tutto il paese. Sono stati accusati di diserzione in tempo di guerra. Il governo ha depositato memorie d’accusa contro di loro chiedendo la pena di morte.
Ricordiamo Eric Hayes. E’ stato presidente dell’Associazione degli Studenti Neri all’Università dell’Illinois meridionale, e riservista del corpo dei marine. Eric è stato trascinato via dalla sua stanza nel dormitorio nel mezzo della notte nel dicembre del 1990, ammanettato dalla polizia militare e gettato nel carcere militare di Camp Lejeune, a mille miglia di distanza, per non essersi presentato quando era stata attivata la sua unità dell’Illinois. (Eric è stato alla fine condannato a otto mesi di carcere).
Ricordiamo il caporale del corpo dei marine Jeff Paterson. Il 29 agosto 1990 ha rifiutato l’ordine di salire a bordo di un aereo militare da trasporto per essere impiegato in Arabia Saudita. Quando i suoi sergenti maggiori hanno tentato di spingerlo sul velivolo, Jeff si è seduto per terra nell’hangar e si è rifiutato di muoversi. (Jeff è diventato un leader del movimento contro la guerra e ha lavorato per Refuse and Resist! [Rifiutati e opponiti]).
Ricordiamo Demetrio Perez e James Summers, entrambi studenti al Community College di Santa Fe, in Florida, e John Isaac III, studente al City College di New York. Sono stati accusati di “diserzione con l’intento di sottrarsi a un dovere pericoloso” e di “assenza al trasferimento” per esserti opposti a ordini di partire in nave per il Golfo: sono stati sottoposti alla corte marziale e giudicati colpevoli. (Perez è stato condannato a 15 mesi, Summers a 14 mesi e Isaac a 8 mesi di lavori forzati).
Con il farsi evidente che sempre più dipendenti dell’esercito non erano affatto troppo ansiosi di combattere per l’emirocrazia e l’espansione dell’impero petrolifero statunitense, l’esercito USA ha cominciato a sequestrare gli oppositori e a costringerli a salire su aerei diretti nel Golfo. In un caso il sergente Derrick Jones, un medico, ha presentato domanda di essere riconosciuto obiettore di coscienza e ha abbandonato per diversi giorni la sua unità. Attraverso il suo avvocato ha negoziato con il proprio comandante, capitano Cloy, il ritorno all’unità e gli è stato promesso che non sarebbe stato accusato per assenza al trasferimento in attesa che fosse evasa la sua pratica di obiettore di coscienza. Ma quando Jones è tornato alla sua unità in Germania, è stato immediatamente arrestato, ammanettato, trascinato su un aereo e trasportato contro la sua volontà in Arabia Saudita.
La stessa cosa è accaduta a David Owen Carson, Robert Chandler e dozzine di altri oppositori militari. Bryan Centa, un medico di stanza alla caserma Lee a Mainz, Germania, aveva anche lui avviato una pratica per il congedo da obiettore di coscienza. Centa è stato ammanettato, gli sono stati messi i ferri ai piedi e “inviato” in Arabia Saudita. Il Procuratore Generale USA non ha dato seguito ad alcuna denuncia contro l’esercito in nessuna delle dozzine di sequestri, o riconosciuto il razzismo implicito in molti di tali casi.
Tali essendo gli Stati Uniti, come potrebbe il razzismo non aver svolto un ruolo importante nell’atteggiamento del governo nei confronti degli oppositori? A volte è emerso in modi stupidi ma relativamente innocui, come nel caso dello scatto di nervi di un ufficiale militare quando una giornalista francese bianca, Judith Weiner, ha abbracciato e baciato Sam Lwin, nativo della Birmania, nel corso di un intervallo in una delle sue udienze. Il sergente Richmond, un bianco, capo del plotone di Lwin, ha convocato Sam nell’aula e gli ha urlato: “Non devi mostrare affetti mentre sei in uniforme”. Poiché in tutto il paese soldati erano mostrati in televisione tornare a casa e abbracciare e baciare in uniforme, l’esplosione di Richmond era stata chiaramente provocata dal fatto che Lwin, un asiatico, stava baciando una donna bianca.
O prendiamo il caso di Danny Gillis. Gillis, un nero di Baltimora, era stato sottoposto a corte marziale su accuse derivanti da un’aggressione razziale nei suoi confronti. Ha rischiato sette anni. Assieme a Jimmy Summers, un altro degli oppositori, Gillis era stato tenuto in isolamento in una cella di due metri per due e mezzo.
Gillis era diventato mussulmano dopo l’arruolamento nell’esercito; aveva chiesto di essere riconosciuto obiettore di coscienza nel novembre del 1990. Il 17 dicembre l’unità di Gillis aveva ricevuto ordini di trasferimento in Arabia Saudita ed egli si era rifiutato di andare.
Mentre il resto dell’unità saliva sull’autobus, Gillis si era seduto sul cemento e si era rifiutato di salire. Il sergente maggiore Schillumeit, un bianco, gli aveva ordinato di salire sull’autobus. Gillis si era nuovamente rifiutato. Incapace di farlo salire sull’autobus il sergente aveva chiamato quattro marine bianchi per far legare le mani di Gillis dietro la schiena e costringerlo a forza a salire.
Contemporaneamente due marine neri, di passaggio, vedevano quattro bianchi che prendevano a calci e pugni un nero legato e si muovevano a difesa di Gillis. Ufficiali e soldati presenti si sono buttati nella zuffa schierandosi da una parte e dall’altra secondo la propria razza. La zuffa è proseguita fino a quando un colonnello ha ordinato a tutti di “farla finita”. Ha quel punto Schillumeit ha chiamato un furgono con portiere ampie e Gillis vi è stato caricato a forza. Un minuto dopo, tuttavia, è riuscito a saltare giù, a percorrere circa tre metri e poi è crollato, urlando: “Sei mosso da pregiudizi. Vi denuncerò tutti.” Gillis è stato arrestato e gettato nel carcere militare per 41 giorni. In aggiunta all’”assenza al trasferimento” Gillis è stato accusato di mancanza di rispetto nei confronti di un ufficiale superiore per aver detto “sei mosso da pregiudizi”, disobbedendo a un ordine legittimo [sic!], di condotta turbolenta e di aver illecitamente formulato una minaccia dicendo “vi denuncerò tutti”.
Rischiando sette anni di carcere di fronte al giudice Oulette, Gillis, come molti degli altri, ha sentito di non avere altra scelta che accettare una soluzione di patteggiamento; l’accusa ha riunito tutte le accusa in un unico reato e ha chiesto una condanna a dodici mesi. Oulette, con un atto maligno, ha rifiutato l’accordo tra Gillis e l’accusa e ha condannato Danny Gillis a ulteriori sei mesi di carcere, in aggiunta ai dodici mesi patteggiati.
Gillis ha chiesto un’operazione a un braccio a causa delle lesioni subite durante la zuffa. Contemporaneamente uno dei marine accorso a difesa di Danny durante lo scontro, Jody Anderson, è andato in Arabia Saudita con la sua unità. Jody, come virtualmente tutti i marine, non ha mai assistito a un combattimento nonostante tutta la baraonda; ma il corpo dei marine ha atteso che la guerra finisse prima di arrestare Jody per ammutinamento, incitamento alla rivolta, tre accuse di aggressione a un ufficiale, minacce a ufficiali e disobbedienza a un ordine diretto. Considerato tutto ciò Jody rischiava il carcere a vita più 44 anni.
“Si è trattato chiaramente di una decisione politica da parte dell’esercito”, ha dichiarato Melissa Ennen, del gruppo Hands Off! di New York che aveva organizzato il sostegno agli oppositori di Camp Lejeune e che ora gestisce uno spazio del movimento a Brooklyn noto come The Commons. “Il governo”, ha affermato, “stava cercando di celare la portata dell’attività contro la guerra, di isolare quelli che considerava i facinorosi e di reprimere quelli che avevano avuto il coraggio di opporsi.” Altri soldati avevano disertato o si erano resi irreperibili per motivi politici durante la preparazione e nel corso della Guerra del Golfo, in numero maggiore rispetto a periodi simili del secolo, guerra del Vietnam compresa. Nessuna meraviglia che il presidente George H.W.Bush abbia sentito la necessità di “superare finalmente la sindrome del Vietnam”[7].
E tuttavia, la maggior parte delle organizzazioni non governative che avevano organizzato la Campagna per la Pace in Medio Oriente – una delle due gerarchie contro la guerra di livello nazionale – hanno disertato i disertori. E’ stato per la sfida allo sciovinismo nazionale, non volendo apparire non patriottici? O forse è stato perché, diversamente dalla maggioranza degli oppositori in vista negli anni ’60, la maggior parte dei resistenti alla Guerra del Golfo erano afroamericani, latini, e asiatico-statunitensi? In ogni caso la campagna si è resa latitante quanto a questo problema.
Piccole organizzazioni di base, come Hands Off! hanno fatto un lavoro eroico a difesa dei resistenti, colmando il vuoto meglio che hanno potuto.  Per mancanza di fondi, l’oppositore militare Jody Anderson è stato costretto ad affidarsi ad uno degli squali legali esterni al movimento che ha totalmente pasticciato il suo caso. Dov’era l’Associazione Nazionale degli Avvocati Neri? E la Lega Nazionale degli Avvocati (NLG)? Per tutto il periodo della guerra del Golfo queste due formazioni un tempo progressiste non hanno mosso un dito per gli oppositori militari! La Lega Nazionale degli Avvocati ha simulato coinvolgimento appiccicando adesivi all’esterno delle basi militari con il numero di una “linea calda” che i resistenti potevano chiamare e ha assunto proprio personale di segreteria a dieci dollari l’ora per rispondere alle telefonate. Ma quando i soldati chiamavano veniva detto loro che la NLG non aveva avvocati addestrati disponibili e che dovevano chiamare Hands Off! o la Lega degli Oppositori alla Guerra.
In conseguenza dell’incompetenza dell’avvocato, Jody Anderson è stato condannato a due anni di carcere. Gli oppositori alla guerra hanno manifestato a favore della causa di Jody;  il suo processo e la sua condanna hanno creato un vero legame tra molti dei soldati che sono andati nel Golfo e hanno resistito e ciò ha consentito loro di organizzarsi nel carcere militare.
In una parodia analoga di giustizia, l’esercito ha fatto marcia indietro in un accordo di patteggiamento con il sergente John Pruner a Fort Riley, Kansas, che avrebbe limitato la sua detenzione a sei mesi. Secondo Tod Ensign di Citizen Soldier “Pruner è stato uno dei due soldati che hanno denunciato il cambiamento di politica dell’esercito nei confronti degli obiettori di coscienza. Tale politica ha reso più difficile per i soldati destinati in Arabia Saudita ottenere lo status di obiettori di coscienza.” Pruner ha rischiato sei anni di carcere. Con l’inizio della corte marziale contro Pruner l’esercito, preannunciando quello che sarebbe successo a tutti gli avvocati della difesa un decennio più tardi, ha negato il permesso di accesso al suo avvocato e gli ha impedito di esaminare i documenti necessari per la sua difesa. Nulla sulla stampa delle imprese!
Persino delle rivolte razziali su vasta scala non è stata data notizia. Un soldato, di ritorno a New York dal Golfo, ha dichiarato al The Guardian che gli scontri razziali nell’esercito USA in Arabia Saudita erano comuni. “Ufficiali comandanti bianchi concedevano regolarmente promozioni ‘sul campo’ a marine bianchi; quando i marine neri hanno protestato, hanno avuto luogo grossi scontri tra bianchi e neri,” ha affermato. L’esercito ha semplicemente coperto tutto. Alcuni ‘incidenti’ razziali nell’esercito sono riusciti ad arrivare alla stampa. Ma, in generale, sono stati “insabbiati”.
Si prenda il caso del caporale Anthony Stewart, un soldato nero di cui inizialmente era stato detto che si era suicidato. Sotto la pressione della famiglia di Stewart e di altri, l’esercito ha rivisto la sua versione affermando che si era ucciso “accidentalmente”. Col crescere della pressione sull’esercito, tra cui accuse di razzismo e coperture, il Corpo dei Marine ha nuovamente modificato la sua versione e posto sotto processo il soldato scelto Steven Quiles, un soldato bianco del plotone di Stewart, per aver “accidentalmente” ucciso Stewart mentre puliva il suo M-16. Quiles è stato condannato a 15 mesi di lavori forzati, anche se altri hanno riferito che la morte di Stewart è stata causata intenzionalmente e motivata razzialmente. Quiles non ha trascorso nemmeno un giorno in carcere per l’omicidio. Inoltre il suo congedo per cattiva condotta è stato revocato ed è tornato nelle buone grazie dell’esercito. I genitori di Stewart, nel frattempo, chiedono tuttora un’indagine completa.
La manipolazione degli eventi da parte dell’esercito nel caso di Stewart ricorda sinistramente la sua “interpretazione”, per dirlo delicatamente, della morte della stella del football Pat Tillman, dodici anni dopo. Anche se non si è trattato di una questione razziale, Tillman è stato ucciso “accidentalmente” da soldati del suo stesso plotone. Il giornalista sportivo Dave Zirin colma i vuoti: “Pat Tillman è l’unico giocatore della National Football League – o atleta professionista – a morire sul teatro della guerra dopo l’11 settembre 2001. Ha abbandonato milioni di dollari per arruolarsi nell’esercito statunitense per il modo in cui è rimasto colpito dall’11 settembre. Il 12 settembre 2001 Tillman ha concesso un’intervista in cui ha affermato: “Mio bisnonno era a Pearl Harbour e molti della mia famiglia sono andati a combattere in guerra e io in realtà non ho fatto un cazzo di niente.”
Ventidue mesi dopo essersi arruolato, Pat Tillman è morto. Il suo ufficio funebre è stato trasmesso dalla televisione nazionale. L’esercito gli ha concesso la Silver Star per “comportamento cavalleresco in azione contro il nemico armato”. Hanno affermato che il convoglio di Tillman era caduto in un’imboscata in Afghanistan. Hanno detto che Tillman si era arrampicato su una collina per proteggere i suoi uomini ma era stato abbattuto dai talebani. In risposta a tale storia eroica la National Football League, come è stata pronta a pubblicizzare, ha creato statue e memoriali in suo onore.
“ … [Ma] la storia ufficiale del Pentagono, la stessa storia abbracciata inizialmente dalla NFL, è un’abominevole menzogna. Tillman in realtà è morto per fuoco amico, un fatto delittuosamente celato alla sua famiglia, ai suoi tifosi e al pubblico in generale. Tillman aveva anche cominciato a rivoltarsi contro la guerra prima di morire, dicendo ai suoi amici nei Rangers di ritenere che la guerra in Iraq fosse ‘illegale’. Lettore vorace, aveva cominciato a leggere autori contro la guerra nel tentativo di rendersi conto di come era diventato il soldato più famoso di un conflitto senza fine.
Dopo che l’amministrazione Bush aveva finalmente rivelato la verità, la famiglia e gli amici di Tillman, sconvolti, hanno fatto la sola cosa che potevano fare: battersi per scoprire i fatti reali a proposito della sua morte. Si sono rivolti al pubblico con il racconto di un Pat Tillman che era incoerente con quello dell’amministrazione Bush e della NFL. Hanno proposto un Pat Tillman che era un ateo intensamente iconoclasta che si stava rivoltando contro la guerra.”
La versione distorta della morte di Pat Tillman evidenzia le menzogne utilizzate per far accettare la guerra e il modo in cui la rabbia e il dolore popolare sono stati sfruttati dopo l’11 settembre. Ma grazie all’instancabile lavoro della sua famiglia e ai creatori del documentario La storia di Tillman, la sua vera storia è oggi di pubblico dominio. Come ha detto la madre di Tillman in La storia di Tillman “ritengo che abbiano semplicemente pensato che se avessero manipolato la storia e noi lo avessimo scoperto … l’avremmo semplicemente taciuta perché non volevamo sminuire … il suo eroismo o cose simili … ma, sapete, nessuno mette in discussione l’eroismo di Part. E’ sempre stato eroico. Quello che hanno detto che è successo, non è successo. Hanno costruito una storia e perciò bisogna mettere le cose in chiaro.” [8]
Le deposizioni degli obiettori militari alla Guerra del Golfo sono piene di rapporti di abusi, molti dei quali razziali, iniziati una volta richiesto lo status di obiettori di coscienza. Sono stati sottoposti a infinite molestie. Una delle denunce più comuni è che erano loro ordinati servizi straordinari notturni, il che significava che non potevano dormire più di tre ore di seguito, notte dopo notte. Doug DeBoer, della Florida, ha testimoniato di essere stato intenzionalmente privato del sonno essendo stato costretto a turni eccessivi di sentinella notturna. “Ho avuto turni di sentinella di notte virtualmente ogni notte della settimana per tre settimane di seguito … Durante il giorno sono come uno zombie e mi sono ammalato a causa della privazione del sonno” ha dichiarato DeBoer nel ricevere una condanna a quindici mesi.
Trentatré vescovi cattolici di 23 stati, hanno rivolto un appello al presidente Bush affinché fermasse “l’incriminazione militare degli obiettori di coscienza” e concedesse loro l’amnistia e il congedo onorevole (anche se come gruppo hanno dichiarato di non avere nulla contro la guerra stessa). Molti delegati francesi del Partito Verde al Parlamento Europeo hanno manifestato la loro indignazione per il trattamento riservato agli obiettori in lettere all’esercito statunitense, citando “privazione di sonno, isolamento in celle speciali [e] censura della corrispondenza”. E il ramo canadese di Amnesty International ha inviato un osservatore ai processi di Demetrio Perez e Jimmy Summers e adottato molti obiettori come detenuti per motivi di coscienza.
A un resistente che aveva tentato di chiedere lo status di obiettore di coscienza è stato detto dal suo ufficiale comandante bianco: “I neri non possono chiedere l’obiezione di coscienza”.
“Perché no?” ha chiesto sua madre.
“A causa della loro cultura.” Sua madre ha chiesto un chiarimento. “Perché i neri vengono da una cultura violenta.”
Storie simili di razzismo nell’esercito non sono casi isolati, non più di quanto lo sono nella vita civile. In un’occasione un giudice della Carolina del Nord ha declamato: “Non permetterò nessuno di questi discorsi sui bianchi e sui neri nel mio tribunale. E’ irrilevante che gli ufficiali siano bianchi o neri. Non ci sono pregiudizi razziali nella Carolina del Nord.” I presenti hanno potuto solo ridere. “Apparentemente non è stato in grado di capire cosa ci trovavamo di così pateticamente buffo,” ha detto uno di loro.
Sam Lwin ha riferito di essere stato chiamano ‘cinese’ e ‘muso giallo’ per tutto il campo di addestramento. “Mi è stato ordinato dal mio sergente di contare da uno a dieci in birmano e di cantare in birmano, di fronte ad altri istruttori delle reclute,” mi ha detto. Nel corso della sua udienza per essere riconosciuto obiettore di coscienza, a Lwin è stato stereotipamente chiesto se conosceva il kung-fu o il karate. Un istruttore ha detto direttamente a Lwin: “Non mi piaci perché sei orientale.”
Lwin è stato il primo resistente sottoposto a processo a Lejeune. Nella sua corte marziale il testimone star del governo, il caporale Patrick Conley, ha ammesso nel controesame di essersi vantato: “L’ultima azione buona che compio per i Marine [prima di essere congedato nel mese successivo] è mandare Sam Lwin in galera per vent’anni”. L’ufficiale comandante di Lwin, il capitano Gaspar, ha ammesso di aver rimproverato Lwin per aver fatto domanda di obiezione di coscienza e di avergliela fatta passare brutto, ma ha considerato le sue molestie un “consiglio”.
Marquis Leacock, un afroamericano residente a New York, ha affermato che gli oppositori erano “gli unici che avevano otto sergenti di plotone per badare a quattordici di noi. Siamo insultati con appellativi come ‘porco comunista’, ‘traditori’ e altri termini degradanti riferiti alla nostra razza e cultura.” Leacock è stato condannato a un anno.
A uno dei sergenti “piaceva ordinarci di metterci in riga e scandire in continuazione ‘io sono una merda’”, ha detto uno dei resistenti. Nel carcere militare non era loro permesso di leggere testi politici. Le autorità controllavano i diari e le opere d’arte. Il resistente Demetrio  Perez ha riferito che gli ufficiali militari avevano tentato di costringerli a firmare documenti contro la loro volontà e senza l’approvazione dei loro avvocati.
James Summers ha raccontato: “Quando sono arrivato al carcere militare le guardie hanno immediatamente cominciato a prendersi gioco di me e della mia condizione di obiettore di coscienza. Mi hanno messo i ferri ai piedi, le manette e catene attorno al busto e mi hanno chiuso nella mia cella per cinque giorni. Ero portato fuori una volta al giorno per cinque minuti per fare la doccia.” Enrique Gonzalez, uno studente della Scuola di Legge dell’Università Nova a Fort Lauderdale, Florida, mi ha raccontato che gli erano negati i trasporti e di essere stato costretto a camminare per dodici miglia al giorno [quasi venti chilometri – n.d.t.] per andare e tornare dal lavoro, diversamente dagli altri soldati.
I sostenitori dei resistenti affollavano ogni giorno l’aula del tribunale e avevano organizzato un “accampamento della pace” a circa venti miglia di distanza [poco più di trentadue chilometri – n.d.t.]. La loro presenza ha costituito una differenza cruciale nei processi. Nelle corti affollate i resistenti hanno cominciato a far passare importanti mozioni preprocessuali contro il Corpo dei Marine, contrastando i maltrattamenti e le molestie dominanti. Un giudice ha stabilito che il loro confinamento in caserma era illegale e ha permesso loro di lasciare la base. Cosa più importante, ha riconosciuto che le molestie che subivano non erano incidenti isolati ma erano sistematiche e illegali, aprendo la via a cause collettive contro l’esercito.
Molti dei resistenti hanno descritto in modo commovente nelle loro richieste per l’obiezione di coscienza lo sviluppo dei loro convincimenti contro la guerra mentre erano nell’esercito. Perché essi, i cui precedenti non sono in realtà molto diversi da quelli degli altri soldati, hanno scelto di opporsi al rodeo ideologico dell’esercito e di conservare una parvenza di umanità di fronte al patriottismo totalitario  e all’autorità brutale e omicida?
Marcus Blackweel, di Brooklyn, N.Y., studente del Community College del quartiere di Manhattan quando aveva rifiutato la chiamata, ha scritto: “L’amore universale dovrebbe essere la base delle azioni di un uomo e dovrebbe essere evidente nei suoi atti. Rispetto gli altri e vivo attenendomi a tale regola. La guerra distrugge molto più delle sole proprietà o del paesaggio. Distrugge anche gli esseri umani e l’anima umana.”
“Quando mi sono arruolato nell’esercito, combattere una guerra era la cosa più lontana dalla mia mente. Alcuni possono dire che il mio modo di pensare era molto confuso. Di fatto non riuscivo nemmeno a immaginarmi al fronte in una guerra. Beh, il mio modo di pensare era confuso. Consideravo l’arruolamento nell’esercito come un lavoro. Pensavo che essere nell’esercito fosse un modo per essere una persona di successo.”
“Ma quando sono stato mandato alla Scuola della Fanteria a Camp Lejeune i miei occhi si sono realmente aperti. Sono stato esposto a vari tipi di armi che possono essere usati contro una persona, come il mitra calibro 0,50, la mitragliatrice di squadra M249, il lanciarazzi AT-4. Imparare come invadere il territorio nemico e lanciare bombe a mano mi ha indotto a chiedermi: ‘Sono davvero io che sto facendo questo?’”
“Dunque ora ero in grado di sparare e uccidere una persona a 500 iarde di distanza [circa 460 metri – n.d.t.], di distruggere intere famiglie e villaggi e di uccidere dall’aria. Ma chi stavo davvero uccidendo? Uccidevo me stesso. Stavo uccidendo il mio spirito, distruggendo quella pace e armonia interiore che mi tiene insieme … Il lavoro che stavo facendo poteva essere buono per il Corpo dei Marine, ma non era per il bene degli uomini.”
Blackwell è stato condannato a 17 mesi di lavori forzati in un carcere militare.
Anche il sergente David Bobbitt, di Staten Island, New York, ha ritenuto che le sue esperienze nel Corpo dei Marine lo abbiano spinto a esaminare le sue idee sulla guerra. Durante l’addestramento in fanteria ha scritto: “Ho visto un uomo cadere da un elicottero morendo. E’ stato duro per me accettare che era morto e ancor più duro capire l’atteggiamento superficiale nei confronti della sua morte tragica da parte degli altri marine. Siamo davvero esseri superiori su questa terra? E se così è, perché possiamo distruggere e mutilare ogni cosa su questo pianeta?”
“Il mio ruolo professionale nell’esercito è 0311; corrisponde a fuciliere. Il mio lavoro è stato di imparare tutto sulle armi e su come usarle efficacemente. Suonava molto intrigante all’inizio; dopotutto mi piaceva andare a caccia di animali. Dopo il periodo di addestramento ho scoperto quale fosse davvero il mio lavoro; non era più così intrigante. Quanto a questo non lo era neanche andare a caccia di animali.”
Bobbitt è stato condannato a 14 mesi di carcere; assieme a Blackwell è stato congedato con disonore.
Nel frattempo Dick Cheney, Stephen Solarz, Dan Quayle, Newt Gingrich, William Bennet, Rush Limbaugh e una schiera di frenetici guerrafondai sono tutti riusciti in un modo o nell’altro a evitare di andare essi stessi in Vietnam o nel Golfo, ma non hanno avuto scrupoli a mandare altri, economicamente più poveri e inermi, a uccidere e morire nel Golfo, o a mandare gli oppositori a spendere gli anni migliori delle loro vite spaccando pietre in carcere.
Per la maggior parte degli oppositori, l’esperienza di arruolamento nell’esercito è stata molto diversa quanto era stato insegnato loro di attendersi. Come ha spiegato uno dei resistenti, l’ex soldato scelto Colin Bootman: “Sono nato a Trinidad, Indie Occidentali, e sono emigrato a New York quando avevo sette anni. Dopo aver ricevuto la carta verde e l’istruzione negli Stati Uniti mi sono arruolato nell’esercito durante il mio secondo anno alla Scuola di Arti Visive. Mi sono sentito immediatamente estraneo alla mentalità militare che ci si attendeva da me. Mi sono sentito come se dovessi essere orgoglioso, ma non lo ero. Ho continuato a negarlo, pensando che forse sarei potuto crescere e apprezzarlo. In ogni esercitazione vedevo tizi che andavano in giro con pugnali legati sul petto o all’anca e pensavo: com’è che non mi sento come loro?”
“Dopo due anni di servizio nel Corpo dei Marine i miei sentimenti riguardo all’addestramento hanno cominciato a cambiare consapevolmente. Un’influenza importante sul mio modo di pensare l’hanno avuta le illuminanti conversazioni che ho avuto con membri della mia famiglia che erano rimasti coinvolti a Grenada. Mia zia Jacqueline Creft era l’ex ministro dell’istruzione di Grenada  e una leader del Movimento New Jewel.  Era stata assassinata in seguito al trambusto politico. Inoltre uno dei miei cugini aveva perso una gamba tentando di sfuggire all’impatto pieno di un’esplosione. La mia famiglia mi ha detto che nessuno sa esattamente quanto dannosa e crudele possa essere una guerra fino a quando non accade. A parte la perdita della vita e di arti, molti hanno perso la casa e la terra. La mia famiglia mi ha incoraggiato a lasciare l’esercito perché non vedeva un futuro nello scatenare guerre.” Bootman ha scontato due anni di carcere per essersi rifiutato di uccidere.
Per l’ex soldato scelto Keith Jones, anche la “coscrizione per povertà” è stata molto reale. E’ nato nella base dell’aviazione Hunter di Savannah, Georgia, e si è trasferito a New York quando aveva quattro anni. Suo padre era stato nell’aviazione per vent’anni, compreso il Vietnam. Quando Keith ha cominciato a frequentare il City College di New York, il reclutatore della riserva dei marine gli ha offerto un assegno costante di 140 dollari al mese per tre anni, speciali finanziamenti per l’università e anche il supporto emotivo, meno tangibile ma ugualmente importante, dell’onore e della fierezza.
Agli inizi, ha detto Keith, si era sentito fiero dei suoi risultati nel campo di addestramento. Era di “mentalità chiusa” nei confronti delle organizzazioni contro la guerra all’università. Ma un po’ dopo, dopo aver recitato in uno spettacolo scritto da veterani del Vietnam, ha deciso che il linguaggio astratto della Scuola di Addestramento della Fanteria, come “subirete molte perdite”, serviva a celare la reale mutilazione fisica di giovani corpi in guerra. Keith, all’epoca, studiava armamenti avanzati; imparava cosa erano capaci di fare. Si è rifiutato di combattere e si è unito a un tempio buddista impegnato per la pace mondiale. Keith è stato condannato a 16 mesi di carcere, dove ha fabbricato targhe automobilistiche.
I percorsi attraverso i quali ciascun individuo è arrivato a rifiutare l’esercito sono stati vari e dalle molte sfaccettature. Non si adattano bene alle caselle comportamentiste alla Skinner; la resistenza all’oppressione assume molte forme diverse e, contrariamente ad alcune, una maggiore oppressione non implica necessariamente una maggiore resistenza come se gli esseri umani fossero topi in un labirinto al termine del quale premono una barra per ottenere del formaggio. Non rientriamo agevolmente in nicchie “politicamente corrette”, assumendo consapevolezza solo nei modi approvati dai bastioni della rettitudine morale. Ma ci sono certi elementi comuni che forniscono il terreno che nutre la resistenza e promuove il coraggio di assumere rischi enormi. Di speciale importanza sono i forti legami comunitari che incoraggiano e sostengono i loro sentimenti umani e servono da contrappesi alla falsa “comunità” offerta dall’esercito.
Tuttavia molti, nel movimento pacifista, si sono rifiutati di appoggiare la causa degli obiettori. “Cosa si aspettavano? E’ a questo che serve l’esercito. Non è un programma di lavoro” è stato il sentimento comune. Molti nel movimento pacifista hanno accettato la demonizzazione, da parte del governo statunitense, del “nemico” iracheno. Si sono bardati di nastri gialli e di bandiere statunitensi, fingendo di farlo per “raggiungere” il popolo statunitense e non per il loro stesso desiderio di essere accettati dal paese che criticavano. Tale opportunismo ha intrappolato i liberali in nodi morali; sono stati incapaci di “raggiungere” persino il loro libretto degli assegni per difendere quelli che nell’esercito si rifiutavano di uccidere per le grandi compagnie petrolifere e per l’imperialismo statunitense o di capire perché così tanti, particolarmente neri e latini, si sono sentiti costretti ad arruolarsi nell’esercito.
“Pochi pensavano che sarebbero stati mandati a uccidere e a morire quando si sono arruolati nell’esercito, o a scatenare un inferno di bombe contro civili senza che niente di ciò comparisse nei notiziari; in realtà la pubblicità dell’esercito a malapena citava la guerra o le uccisioni” sostiene la coordinatrice di Hands Off! Melissa Ennen. “Anche se non esisteva la coscrizione legalmente obbligatoria, ce n’era, in effetti, una che lo era economicamente. I ragazzi della classe lavoratrice non vedevano né lavoro né futuro per sé nella vita civile. L’esercito si presentava come una ‘via d’uscita’ dal ciclo della povertà”.
La “falsa pubblicità” dell’esercito induceva all’arruolamento  i poveri e gli appartenenti alla classe lavoratrice più giovani. Il fascino dei popolari film macho di Hollywood sulla “guerra pulita”, come Rambo, e il desiderio di “essere tutto ciò che si può essere” e di “servire la propria comunità” hanno svolto una parte significativa nella difesa dei resistenti nel corso delle loro corti marziali. Non è una coincidenza, hanno sostenuto le difese, che più del trenta per cento dei soldati impiegati in Arabia Saudita fosse costituito da persone di colore, una percentuale doppia della popolazione statunitense nel suo complesso. Il 46% delle donne di stanza nel paese erano nere, mentre il 6,7% degli ufficiali dell’esercito sono neri o ispanici. E, come molti neri e latini hanno avuto modo di scoprire, nell’esercito la polarizzazione razziale non è superata di fronte al “comune nemico” ma si intensifica enormemente … e le orribili conseguenze sono coperte.
Alcuni degli obiettori erano indubbiamente confusi. Non avevano riflettuto su tutti i dettagli dell’imperialismo. Non avevano stilato lunghi trattati di economia politica, non erano guerriglieri della “guerra protratta delle tesi”, a sparare bordate di parole dai piedistalli delle torri d’avorio di ruolo (anche se molti di essi erano studenti). Ma molti di quelli che si sono rifiutati di appoggiare gli oppositori militari hanno anche teso a ridurre i motivi di arruolamento nell’esercito dei più giovani unicamente alle necessità economiche e alla “coscrizione della povertà”; di nuovo, topi in un labirinto. Non hanno colto un punto fondamentale a proposito del disperato bisogno sociopsicologico dei più giovani di questa società di una comunità e di avere un significato. Hanno così diretto il movimento contro la guerra al perseguimento di strategie sbagliate. Prima della Guerra del Golfo gli studenti delle superiori che utilizzavano la stazione della metropolitana vicina al mio appartamento mi parlavano del loro disgusto per quell’”io-prima-di-tutto” che avvertivano attorno a loro, la brama di catene d’oro e l’avidità materiale. Volevano qualcosa di più comunitario, di più artistico dalla vita. Molti dicevano che si sarebbero offerti volontari nell’esercito (la cosiddetta “coscrizione economica”) “per servire il proprio paese” e non, come crede la maggior parte dei liberali, principalmente per uscire da disperate ristrettezze economiche, bensì per trovare un qualche scopo superiore, una qualche filosofia di collettività e di idealismo. Citavano spesso la frase di John Kennedy, “non chiedere cosa il tuo paese può fare per te; chiedi cosa tu puoi fare per il tuo paese”, per spiegare i loro sentimenti. (Difficile credere che molti di noi un tempo abbiano sostenuto concetti così liberali come se fossero una virtù!). Credevano tragicamente che avrebbero potuto quello scopo più elevato e quella comunità nell’esercito.
Dov’era il movimento pacifista per questi ragazzi? Perché non li ha aiutati a sviluppare vere comunità alternative a quella che, sbagliando, credevano esistesse nell’esercito? Ogni notte stracciavo i manifesti di arruolamento dalla stazione del treno vicina al mio appartamento e cercavo di convincere gli studenti delle superiori a non arruolarsi nell’esercito. Ma c’era poco da offrire al suo posto. Dov’erano le squadre sportive, circoli politici, i gruppi di discussione alternativi, i centri comunitari, le consulenze sulla leva del movimento contro la guerra? Non è stato che quando gli stessi studenti delle superiori hanno organizzato gruppi come Studenti Contro la Guerra, Studenti per la Giustizia Sociale e Cibo, Non Bombe che i ragazzi sono stati in grado di trovare alternative alla pseudo-comunità che si aspettavano dall’esercito, una componente cruciale e una funzione trascurata di Occupy Wall Street. Quei ragazzi, vent’anni dopo, “ci sono arrivati”.
L’organizzatore della War Resisters League [Lega degli oppositori alla guerra] Michael Marsh ha osservato le stesse frustrazioni: “Durante la Guerra del Golfo, innumerevoli soldati mi hanno detto come si erano arruolati nell’esercito perché sentivano di non avere il controllo delle proprie vite e sentivano il bisogno di disciplina. Altri si erano arruolati cercando di sostituire con un significato sentimenti di mancanza di speranza. Altri ancora si erano arruolati alla ricerca di sé e di una comunità. Per quanto sconvolgente possa essere pensare che qualcuno possa aderire a un’istituzione basata sulle uccisioni per trovare una comunità, non dovrebbe essere affatto sorprendente. Nel nostro paese c’è un vasto vuoto morale e un numero sempre maggiore di giovani si ritrova solo in tale spazio.” [9]
La reazione del governo nel contrastare il potere della comunità è stata e continua a essere cercare di isolare e spaventare l’individuo, rendendo il prezzo della resistenza contro la guerra così economicamente, psicologicamente e fisicamente alto da indurre gli oppositori a patteggiare per accuse minori per cose che non hanno fatto e ad abbandonare le loro posizioni politiche e morali in cambio di “farla finita” e di condanne più lievi.
Nonostante i sentimenti di disperazione, frustrazione e tristezza di cui cadiamo vittime tutti noi del movimento contro la guerra (non sorprendentemente, considerato il flusso  interminabile di assassini che governa il paese) in realtà c’è qui un’enorme fonte di speranza. Nel coraggio dei resistenti che, contro ogni probabilità e senza liberali che cerchino di “elevare la loro coscienza”, trovano modi per opporsi; nelle nuove, creative tattiche inventate dai gruppi di affinità nel corso della guerra e nell’emergere di nuove comunità di sostegno dove hanno fallito più vaste e più consolidate organizzazioni ombrello; nelle nuove reti di stampa alternativa e in dinamici gruppi delle scuole superiori: e nel rendersi conto che, indipendentemente da quando triste e disperata sia la situazione, le persone trovano sempre modi per rifiutare di “limitarsi a eseguire gli ordini”.
Gruppi come Hands Off!, Citizen Soldier, la War Resisters League, il  Central Committee for Conscientious Objectors, Storm Warning!, Vietnam Veterans Against the War e molti attivisti locali diventano pilastri di sostegno dei resistenti; e, in realtà, le comunità di resistenza locale che sono spuntati attorno a essi hanno fatto tutta la differenza del mondo. Nuovi raggruppamenti hanno assunto responsabilità reciproche e hanno cominciato a proiettare una visione diversa, più sana e più rivoluzionaria di quella delle organizzazioni che hanno soppiantato. Tale organizzazione è diventata uno dei fattori del rilascio anticipato degli oppositori che avevano chiesto lo status di obiettori di coscienza.
Tuttavia, all’epoca, gli oppositori alla guerra liberali si sono rifiutati di sostenere i resistenti all’interno dell’esercito. Con l’eccezione del notevole lavoro svolto dalla War Resisters League e da gruppi quali Hands Off! e Citizen Soldier, la “Campagna” – impegnata a conservare le sue organizzazioni convenzionali associate – ha sostenuto i “nostri” soldati ma, al di là di sforzi simbolici, non ha sostenuto i nostri resistenti.
I soldati di leva e i civili iracheni non sono stati ritenuti meritevoli neppure di tale considerazione. Sono stati trattati da demoni mandati dal “folle” e “peggiore di Hitler” Saddam Hussein a “distruggere il nostro stile di vita”. “Dovremmo appoggiare sanzioni e un embargo commerciale contro l’Iraq”, ha affermato un leader del Partito Socialista dell’epoca (membro della Campagna) [10], un tema cui molti hanno fatto eco nella dirigenza della Campagna; di fatto è stata quella la sua posizione ufficiale. E’ stato come se il popolo dell’Iraq, le cui vite erano devastate dall’embargo commerciale tanto quanto dai bombardamenti, dovesse essere punito e fosse nostra responsabilità morale farlo, con molto dello stesso bigottismo di quelli che si erano arrogati il diritto di puntare il dito su chi tirava un sasso contro la polizia in una dimostrazione.
Gruppi di solidarietà come il Comitato di Solidarietà con il Popolo di El Salvador hanno dimenticato di esprimere la propria solidarietà al popolo dell’Iraq. La Rete di Sostegno alle Famiglie dei Militari, contraria alla guerra, formata dai famigliari di quelli mandati al fronte, ha salutato la bandiera statunitense in ogni occasione e non ha mai dato un volto umano a quelli che i loro ragazzi sono stati mandati a uccidere.
Molti, nel movimento contro la guerra, hanno mancato di contrastare la demonizzazione di Saddam Hussein, del popolo iracheno e del popolo arabo in generale da parte di Bush. Hanno raramente speso una parola per le decine di migliaia di vittime civili. Quelle erano soltanto “danni collaterali”. Ma quando gli attacchi dei missili Scud di Saddam hanno ucciso numerosi civili israeliani [11], la dirigenza visibile del movimento convenzionale per la pace ha avviato diatribe su diatribe contro l’Iraq, come se i cittadini iracheni fossero responsabili dei crimini di guerra del loro dittatore e dovessero essere costretti a pagarne il prezzo terribile offrendo copertura politica all’assassinio diretto, da parte del governo USA, di un quarto di milione di iracheni e di un altro mezzo milione – per lo più bambini – nel decennio successivo (gli anni di Clinton/Gore), in conseguenza dell’embargo e dei continui bombardamenti. Per citare il Segretario di Stato di Clinton, Madeleine Albright: “Sì, penso che il prezzo sia giusto”.
Come è poi emerso molti dei civili israeliani la cui morte era stata attribuita agli Scud di Saddam erano rimasti in realtà uccisi o feriti dall’utilizzo israeliano di missili terra-aria Patriot statunitensi difettosi, prodotti dalla Raytheon Corporation. (Dire questo non scusa in alcun modo il fatto che Saddam avesse messo civili nel mirino, ma rivela la portata degli eccezionali sforzi della propaganda statunitense). I media hanno fatto eco agli ufficiali dell’esercito e hanno definito tali morti “danno collaterale”, nei rari casi in cui hanno scelto di riferire i fatti. Nonostante molti dirigenti della società fossero preventivamente a conoscenza di tali difetti, a oggi nessun dirigente della Raytheon è stato incriminato né alcuna fabbrica della Raytheon è stata bombardata da aerei B-52.
“Gli attivisti pacifisti concentrati soltanto sulla prospettiva dei morti statunitensi hanno prestato fede alla strategia dei bombardamenti che provoca un più pesante pedaggio di vittime civili, ma minori perdite tra i soldati statunitensi”, ha scritto l’allora attivista del Wisconsin, Zoltàn Grossman, riferendosi alla strategia della Campagna. “O accettiamo come essere umani i civili iracheni – e i soldati che sono arruolati involontariamente – oppure non li accettiamo. O li difendiamo come difenderemmo le nostre stesse famiglie o acconsentiamo al loro massacro.”
Ma la Campagna non è stata disponibile a far questo. Prevalentemente i resistenti nell’esercito sono stati persone di colore; hanno fornito guida e ispirazione al movimento radicale contro la guerra che ha spaventato a morte i donatori liberali orientati al Partito Democratico – l’”opposizione leale” – abituati a comandare. Tra il male e gli insabbiamenti incombeva la larga ombra dei resistenti. Migliaia di coraggiosi ragazzi della classe lavoratrice nell’esercito si sono coraggiosamente opposti alla guerra. Hanno osato reclamare la propria umanità, in un’epoca di robot. Solo raramente le marce della Campagna ha affrontare i guerrafondai sulla base del fatto che il massacro di massa di iracheni era un male in sé e di per sé. Nelle menti di molti, gli iracheni meritavano di essere affamati dalle sanzioni o dissanguati dalle pallottole [12].
La Campagna certamente non voleva vedere diti radicali puntati contro l’imperialismo USA; offriva sostegno patriottico al governo USA premendo soltanto per ridurre parte degli eccessi di quello che le organizzazioni a essa associate consideravano un governo “democratico e giusto” le cui politiche erano un pochino troppo estreme. La Campagna condannava le decisioni politiche di entrambe le parti ugualmente (“da un lato / dall’altro”) come se il gigante e il moscerino fossero identici o se l’assassinio da parte del governo USA di un quarto di milione di iracheni, prevalentemente civili, fosse un atto disgraziato o forse eccessivamente zelante (ma giustificato!) e ci si potesse fidare degli articoli sui media delle imprese. Imperialismo? “Non usate quei termini” ci era detto. “Non farà che ‘alienarci’ la gente.”
Note
[1] American Maritime Officers Service, News Briefs, Marzo 1991. La nave era stata noleggiata dall’American President Line come nave alimentatrice commerciale [navi più piccole che trasportano container per il trasbordo sulle vere e proprie navi porta-container – n.d.t.] tra gli Emirati Arabi Uniti e l’India.
[2]  ibid. Quando l’equipaggio ha abbandonato la nave il Comando Militare USA dei Trasporti Marittimi della Marina ha cancellato il contratto per inadempienza e il proprietario è arrivato improvvisamente alla conclusione che la nave era “inadatta alla navigazione”.
[3] Ibid.
[4] Mitchel Cohen, “For Each and Every Warrior Whose Strength is Not to Fight,”[Per tutti e per ciascun guerriero la cui forza sta nel non combattere] The Guardian, Maggio 1991 e anche in  Fifth Estate. Anche Mitchel Cohen “Pentagon Ups Penalties for Military Resisters,” [Il Pentagono aumenta le sanzioni per gli oppositori dell’esercito], The Guardian, 6 febbraio 1991; “Gulf War is Not Over for Military Resisters,” [La Guerra del Golfo non è finita per i resistenti militari], The Guardian, 29 maggio 1991; “They Didn’t Follow Orders,” [Non hanno obbedito agli ordini], Fifth Estate e “The Real Heroes Series,” [La serie sui veri eroi] prodotta da Storm Warning, Vietnam Veterans Against the War Anti-Imperialist, 915 East Pine, #408, Seattle, WA 98122.
[5] Guardian, 5 giugno, 1991.
[6] Ruth Turner, Military Counseling Network.
[7] Questo tocca solo la superficie della massiccia resistenza alla Guerra del Golfo dentro e fuori l’esercito. Moltissimo è stato dimenticato o insabbiato. All’epoca io e altri al The Guardian a New York producevamo articoli settimana dopo settimana partecipando contemporaneamente alle azioni dirette del movimento di resistenza. Vedere, per molto di più su questo tema “Read My Apocalypse: The Gulf War and the Mass Psychology of Fascism,” [Leggete la mia Apocalisse: la Guerra del Golfo e la psicologia di massa del fascismo].
[8] Dave Zirin, “Where was the Pat Tillman story on NFL Sunday?,” [Dov’era domenica la storia di Pat Tillman nella National Football League], The Nation, 12 settembre 2011.
[9] Nonviolent Activist, gennaio-febbraio 1994
[10] Attualmente il Partito Socialista, almeno a New York, è diventato molto più radicale sotto la nuova, giovane dirigenza della classe lavoratrice.
[11] Le testate Scud trasportavano un quarto di tonnellata di materiale esplosivo, paragonate alle migliaia di tonnellate di esplosivi fatti piovere quotidianamente sull’Iraq dai bombardamenti a tappeto dei B-52.
[12] Vedere Mitchel Cohen, “Read My Apocalypse: The Gulf War and the Mass Psychology of Fascism,” [Leggete la mia Apocalisse: la Guerra del Golfo e la psicologia di massa del fascismo], Red Balloon Books, 1998.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/for-each-and-every-warrior-whose-strength-is-not-to-fight-by-mitchel-cohen
traduzione di Giuseppe Volpe 
 Per tutti e per ciascun guerriero la cui forza è nel non combattere

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