Gli Alawiti: i fedelissimi degli Assad


20111011161351956734_20

Il regime siriano degli Assad dopo tanti mesi di manifestazioni oceaniche si mantiene al potere  continuando la sua durissima repressione  I motivi vanno individuati  nella particolare complessità   del caso Siria e in particolate nel decisivo sostegno degli Alawiti.
La setta alawita costituisce circa il dieci per cento della popolazione siriana. i sunniti costituiscono il 65 per cento, mentre curdi sunniti e cristiani costituiscono il dieci per cento ciascuno. Ismailiti drusi, sciiti, e altri gruppi minori formano il resto. Da quando pero  il partito  baath (socialista) di Assad ha preso il potere in Siria, il settarismo è diventato un tabù: ogni riferimento alle  identità religiosa è stata  duramente repressa ma l’appartenenza religiosa è rimasta nascosta ma non superata  a somiglianza di quanto è avvenuto nella Yugoslavia comunista di Tito
Ma in qualunque forma l’identità religiosa ed etnica  esiste in tutte le società, e in tempi di crisi, la  identità collettiva viene spesso a indebolirsi èe  la l’appartenenza etnico- religiosa ritorna fortissima .
Se l’elite ricca trascende queste identificazioni e tiene più  conto della classe sociale, della professione, e altri fattori il riferimento etnico religioso si mantiene nella gente comune e come nei Balcani possono riesplodere improvvisamente e drammaticamente.
Non si sa molto  della fede alawita – anche tra la stessa comunità alawita –perche le sue credenze e le sue pratiche sono disponibili solo per  pochi iniziati ma si sa  che ha alcune dottrine lontane  dell’Islam : credenza nella trasmigrazione dell’anima, la reincarnazione, la divinità di Ali ibn Abi Talib – il quarto califfo e cugino del Profeta Muhammad – e una santa trinità che comprende Ali , Muhamad e uno dei compagni del profeta, Salman al Farsi.
Nel mondo arabo la maggioranza sunnita  esercita da sempre  una egemonia che spesso ha perseguitato le sette di minoranza. come gli Alawiti. Un tema comune quindi della identità   alawita è la paura di egemonia sunnita, basato su una storia di persecuzione che si è conclusa solo con la scomparsa dell’impero ottomano. Infatti con il  mandato francese che ha sostituito l’impero ottomano nel 1918 gli   Alawiti,  come altre minoranza (per esempio i Maroniti del vicino Libano) hanno  superato la marginalità tradizionale  e iniziato anche un marcia verso l’egemonia e il  potere favorita dal fatto che  per forza di cose sono i sostenitori del laicismo che coincide con la loro emancipazione
Gli  Alawiti sono stati  i maggiori sostenitori del partito Baath ( socialista e laico)  e della la sua ideologia pan-araba che era  un modo per trascendere la stretta identità settaria, Inoltre  l’occupazione negli uffici statali  e soprattutto nell’esercito  erano una  opportunità per la promozione sociale e di fuga dalla povertà.
Cosi nel 1955, la maggior parte degli ufficiali che portaronoo il bath al potere erano Alawiti, che controllavano  anche  accademie militari,
Nel 1970 il potere fu preso dall’alawita  ,Hafez al-Assad .il padre del presente  rais che  si circondò  di persone del suo gruppo di cui poteva maggiormente fidarsi: la setta fu sovra-rappresentata nelle istituzioni statali.
Dal 1960, il regime siriano ha incoraggiato i contadini,soprattutto alawita, ad emigrare dalle regioni di montagna alla pianura, dando loro proprietà delle terre che erano appartenute ad una elite a maggioranza sunnita.
Tuttavia poi  la stessa identità  degli Alawiti è stata spostata dall’ambito religioso a quello politico: la comunità non si identifica più nel proprio credo religioso ma solo e semplicemente nel sostegno  della famiglia Assad mentre  lo stesso Bath ha  perduto ogni ideale  iniziale.
Gli  Alawiti erano storicamente respinti  dell’Islam. Per essere accettato come leader, Assad ha dovuto convincere i sunniti che gli  Alawiti erano in sostanza  dei buoni mussulmani , Attualmente gli  Alawiti non ricevono nessuna istruzione sulla loro stessa religione. i libri di scuola siriana non  contengono alcuna menzione della parola “alawita”. L’educazione islamica nelle scuole siriane è tradizionale, rigida, e sunnita, non si fa  nessun tentativo di inculcare nozioni di tolleranza e rispetto delle tradizioni religiose diverse dall’ islam sunnita tranne che per il cristianesimo che è un’eccezione.
Il regime ha negato qualsiasi spazio pubblico agli  Alawiti per  praticare la loro religione. non riconoscono alcun consiglio alawita che possa  elaborare  elementi dottrinali  e molti siriani la percepiscono come una fede misteriosa.
Gli Alawiti hanno fatto forse un buon affare economico-politico, hanno perso la propria identità  e accettato il mito che erano “buoni musulmani” per vincere l’opposizione sunnita La perdita del ruolo tradizionale dei  capi Alawiti, impedisce  loro di stabilire posizioni e di impegnarsi come una comunità nei confronti delle altre  comunità siriane – rafforzando i timori settari e i sospetti.
Fra le  confessioni siriane gli Alawiti sono i più laici  possono vantare il maggior numero di matrimoni interconfessionali, e sono i più integrati con altre sette, nei rapporti sia personali che aziendali.
Gli Alawiti percepiscono se stessi come i più liberali e laici dei  musulmani i Essi indicano il loro consumo di alcol, l’interazione libera tra i loro uomini e donne e il modo più occidentale del vestire e del comportarsi delle  donne.
E ‘ difficile dire che cosa rende qualcuno un alawita, tranne che che  essere figlio di  un alawita.
La maggioranza sunnita, nel frattempo, ricorda la brutalità con cui è stato schiacciato la insurrezione armata dei Fratelli Mussulmani che furono eliminati fisicamente in Siria e in gran parte sono  assenti dalla rivolta in corso, anche se la maggior parte dei manifestanti di oggi sono sunniti conservatori.
Gli Alawiti aanno adottato lo slogan “Assad per sempre”, incapaci di separarsi dal regime o immaginare una Siria senza Assad. Percepiscono come un tradimento vergognoso non sostenerlo fino all’ultimo.
L’opposizione non è riuscita ad articolare una visione per quello che succederà alle decine di migliaia di Alawiti delle forze di sicurezza e dello Stato. ma minacciano  di punire  in futuro coloro che attivamente sostengono il regime
La fine del regime influirà direttamente quasi su ogni famiglia alawita.
E ‘facile dire se s è  in una zona alawita in Siria in questi giorni. Sarà il luogo dove è addobbato ogni spazio disponibile con le foto del presidente Bashar, il fratello Maher e il loro padre Hafez. Si tratta di un culto della personalità, con muri portanti i graffiti: “Assad per sempre”e foto del presidente.
Gli Alawiti però negano di controllare lo stato,  affermano anzi di essere sotto rappresentati nelle  cariche pubbliche, che non hanno alcun fine settario che  ma che si battono solo per la Siria, per  tutta la Siria.
Accusano i rivoltosi di essere degli ignoranti, di essere eterodiretti da un complotto internazionale guidato da sionisti e americani ( eterno ritornello di tutti le dispute  fra Arabi) Affermano poi che gli Stati Uniti  sono in combutta con gli islamisti il che suona molto strano ma viene giustificato dal fatto che gli Americani vorrebbero contrastare  nel Medio Oriente l’influenza cinese.
Starebbero usando gruppi musulmani contro la Cina; dicono  che il Corano parla della minaccia da una invasione gialla. ( che però, in verita  non ci risulta )
Con la presa  di Tripoli dei  ribelli libici assistiti dalla NATO sono  preoccupati per la possibilità di un intervento Nato o della Turchia, loro potente vicino.
di Giovanni De Sio Cesari

2

Turchia, aleviti: cronaca di una repressione

La comunità alevita in Turchia, 15 milioni di persone, ha sempre avuto un trattamento ambiguo da parte del governo islamico sunnita di Erdogan. Dopo un’iniziale apertura, dettata più da interessi elettorali che da reali progetti di riconciliazione, la comunità si ritrova oggi a dover subire intimidazioni e rifiuti di riconoscimento come minoranza religiosa.


di Luca Bellusci
 Chi studia la storia delle relazioni internazionali, e in particolare la regione mediorientale, conosce bene quale sia il principio fondamento che contraddistingue la Repubblica turca da tutte le altre realtà politiche della regione: il secolarismo.
Con l’avvento del partito islamico moderato Giustizia e Sviluppo, al potere ormai da dieci anni senza alcuna interruzione, a cambiare è stata la struttura stessa dello Stato, non più rigidamente attaccata all’ideologia secolare di stampo kemalista ma più incline a una filosofia politica che si rispecchia nel concetto di Islam.
L’architetto di questa ristrutturazione istituzionale è sicuramente Recep Tayyp Erdogan, leader indiscusso del partito Akp (Adalet ve Kalkınma Partisi) e fervente credente sunnita. In dieci anni di governo è riuscito laddove molti prima di lui avevano fallito: l’economia turca è tra le prime al mondo, grazie a un tasso di crescita in costante aumento negli ultimi tre anni.
L’accresciuto ruolo all’interno di organizzazioni sovranazionali come l’OIC, la Nato e la Lega Araba (anche se in quest’ultima detiene un ruolo da osservatore esterno) conferisce alla Turchia un ruolo di primo piano nella comunità internazionale.
Il rilevante ruolo geopolitico che gioca sia per l’Unione Europea che per gli Stati Uniti d’America le consente di trattare sullo stesso piano, anche dinnanzi a grandi potenze, senza contare che la destabilizzazione della regione mediorientale ha obbligato la comunità internazionale a rapportarsi alla Turchia come unico interlocutore per eventuali operazioni di peace building o in chiave militare (Nato).
Questi successi economici e di politica estera non coincidono però con altrettanti progressi nel campo dei diritti civili e religiosi.
La questione della minoranza curda rappresenta da molti anni la maggior spina nel fianco dello Stato, ma con l’avvento del movimento islamico sunnita dell’Akp i problemi sono arrivati anche per le altre minoranze religiose, e in special modo per quella alevita.

LA POLITICA DI “INCLUSIONE PASSIVA” DELLE MINORANZE SECONDO ERDOGAN

La strategia del governo turco adottata in questi dieci anni verso le minoranze è stata quella di favorire un’inclusione nel nuovo sistema islamizzato.
Grazie a quel fenomeno che molti hanno denominato “calvinismo islamico”, il governo Erdogan è riuscito ad attrarre parte di quell’elettorato che storicamente si sentiva emarginato per via del proprio credo o per l'origine etnica.
L’economia è stata l’arma principale per implementare questa strategia 'passiva', nel senso che non essendo supportata da effettivi processi di integrazione basati sul confronto e concessioni, è stata determinata da una chiara volontà del governo centrale di superare le diversità attraverso lo sviluppo, che per Erdogan rappresenta l'elemento-base dell’unità nazionale. 
Questa nuova architettura di ingegneria civile continua però a incontrare il fermo rifiuto dei vari rappresentanti della società civile e delle minoranze: circa un anno fa, il 6 marzo 2011, almeno sessanta mila persone hanno sfilato nelle strade di Izmir (Smirne, la terza città in Turchia per importanza), per protestare contro l’atteggiamento passivo del governo.
I manifestanti chiedevano l’abolizione delle lezioni di religione obbligatorie, la riapertura delle Cemevis, i luoghi di culto per gli aleviti, e il relativo riconoscimento dello loro status legale.
L’ambigua politica di Erdogan è stata più volte enfatizzata, sia da esponenti politici curdi che da quelli aleviti. L’attuale leader del partito repubblicano Chp (Cumhuriyet Halk Partisi) Kemal Kılıçdaroğlu, di religione alevita, è il principale oppositore alla politica populista del primo ministro e ha spesso evidenziato l’ambiguità delle sue dichiarazioni nei confronti della comunità che rappresenta.

CRONISTORIA DI UNA REPRESSIONE A 'BASSA INTENSITÀ'

La storia degli aleviti in Turchia è costellata da momenti tragici, caratterizzati da eccidi di massa e deportazioni forzate.
Durante l’Impero Ottomano furono diverse le occasioni di scontro con la comunità alevita, soprattutto nelle regioni anatoliche dell’odierna Turchia, come Kahramanmaras, Malatya e Gaziantep.
Nel 1937-38, a Dersim (Tunceli), provincia centrale, venne compiuto un vero e proprio massacro contro i curdi aleviti di quelle zone: l’aviazione turca bombordò in modo incessante le valli che circondano la città, lasciando sul posto migliaia di morti.
Solo pochi mesi fa il premier Erdogan ha ricordato quell’orribile pagina della storia contemporanea turca, chiedendo ufficialmente scusa alle comunità alevita e curda.
Il 2 luglio del 1992 si verificò un altro terribile attentato, noto come “il massacro di Sivas”, che costò la vita a una quarantina di intellettuali aleviti giunti nella città turca per un festival dedicato al poeta Pir Sultan Abdal.
Nel 1995, tra il 12 ed il 15 marzo, una serie di attentati colpì invece il quartiere Sultangazi di Istanbul, zona abitata da una grande comunità alevita. In quei giorni furono diversi gli attentati contro locali e abitazioni appartenenti ad aleviti, anche in altre città. L’autopsia condotta sui corpi di 17 persone morte negli scontri mostrarono in seguito che i colpi furono sparati proprio dagli agenti di polizia: alla fine del processo le pene dei due condannati (su 20 indiziati) furono ridotte rispettivamente da 96 a 6 e da 43 a 3 anni.

PREOCCUPANTE ESCALATION NEL 2012

Nei primi mesi del 2012 si sono registrati diversi avvenimenti che fanno presagire una nuova escalationrepressiva ai danni della comunità alevita.
Lo scorso gennaio l’amministrazione provinciale di Mersin ha approvato la richiesta avanzata da Suat Yıldız, capo sezione della federazione culturale alevita, di accettare la Cemevis come un luogo di fede e di compensare le spese generali a carico del bilancio della amministrazione provinciale. Una settimana dopo è però arrivato il veto posto dal governatore provinciale di Mersin, Hasan Basri Güzeloğlu, che di fatto ha bloccato questo importante passo verso un riconoscimento formale della minoranza religiosa, circa il 15 per cento della popolazione turca.
Il 17 febbraio il tribunale di Tunceli ha invece deciso di chiudere l’associazione culturale alevita Alevilik İnanç ve Kültür Akademisi Derneği (DAKAD), per reati connessi al terrorismo (Terörle Mücadele Kanunu), suscitando l’indignazione e la preoccupazione di molti esponenti politici e della società civile.
Solo pochi giorni fa l’evento più preoccupante: le porte di molte abitazioni della comunità alevita di Adıyaman sono state segnate durante la notte del 3 marzo, suscitando grande preoccupazione per eventuali aggressioni
 6 marzo 2012

Commenti

Post popolari in questo blog

Hilo Glazer : Nelle Prealpi italiane, gli israeliani stanno creando una comunità di espatriati. Iniziative simili non sono così rare

Venti di guerra tra Israele e Iran. Ecco la nuova politica militare di Ahmadinejad

ATTACKS, TERRORIST ATTACKS AND EVEN CASTRATION – THE HIDDEN ACTIONS OF THE ISRAELI MILITIA – ISRAEL NEWS

La carta degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est dal 1967 a oggi